MTM n°24
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 8 - Numero 3 - ott/dic 2009
Odontoiatria
 


Dott. Eugenio Raimondo
Dott. Eugenio Raimondo
Direttore scientifico e responsabile editoriale.


Luigi Montella
Dott. Luigi Montella
Odontoiatra


Anno 8 - Numero 3
ott/dic 2009

 

I bifosfonati sono indirettamente responsabili dell’aumento di densità ossea grazie all’inibizione degli osteoclasti. In caso di danno osseo, gli osteoclasti reclutati dalle sostanze che si liberano dal sito del danno, rimuovono il tessuto danneggiato e vanno in apoptosi, stimolando il reclutamento degli osteoblasti che, a loro volta, si occupano di rigenerare le strutture tissutali danneggiate e digerite dagli osteoclasti. In questo modo si chiude il cerchio del meccanismo noto come: “rimodellamento”; I bifosfonati interferiscono con questo meccanismo interrompendo l’azione osteoclastica




Caso report: overdenture su paziente in terapia con bifosfonati per il trattamento dell'osteoporosi

di E. Raimondo e L. Montella

I BIFOSFONATI SVILUPPATI NEL XIX ° SECOLO, solo negli anni 60 cominciarono ad interessare il mondo medico scientifico per sperimentazioni in relazione a patologie del metabolismo osseo.
Oggi trovano largo impiego oltre che in campo oncologico, nel trattamento di disturbi metabolici.
Dal 1996 infatti, grazie ai risultati di uno studio [FIT], presentati al congresso mondiale dell’osteoporosi vengono utilizzati nella profilassi dell’osteoporosi che insorge nelle donne in seguito alla menopausa. Ancora non è del tutto chiaro quale sia il loro meccanismo d’azione e neppure quali siano esattamente le cellule bersaglio, ma esiste un’ ipotesi attualmente considerata valida, che spiega il meccanismo d’azione di questi farmaci.
I bifosfonati sono indirettamente responsabili dell’aumento di densità ossea grazie all’inibizione degli osteoclasti. In caso di danno osseo, gli osteoclasti reclutati dalle sostanze che si liberano dal sito del danno, rimuovono il tessuto danneggiato e vanno in apoptosi, stimolando il reclutamento degli osteoblasti che, a loro volta, si occupano di rigenerare le strutture tissutali danneggiate e digerite dagli osteoclasti. In questo modo si chiude il cerchio del meccanismo noto come: “rimodellamento”; I bifosfonati interferiscono con questo meccanismo interrompendo l’azione osteoclastica.
La questione bifosfonati investe il mondo odontoiatrico in seno alla possibile relazione esistente tra l’uso di questi farmaci e l’insorgenza di osteonecrosi dei mascellari. A partire dal 2002, si trovano in letteratura articoli che parlano di questa patologia e nel 2003 Wang e i suoi collaboratori, per primi, pubblicano un articolo che descrive tre casi di ONM in pazienti che facevano chemioterapia contro le metastasi ossee.
Il crescente numero di pubblicazioni a riguardo [tutti casi report] porta nel 2005 la food and drugs administration statunitense a lanciare un allerta mondiale. In Italia enti, associazioni, quotidiani e show televisivi s’interessano alla diatriba e nel 2006, sulla gazzetta ufficiale, viene pubblicato un aggiornamento in cui si esortano gli specialisti in odontoiatria a prestare molta attenzione riguardo le terapie chirurgiche da effettuare su questi pazienti.
Revisionando la letteratura, si può dire che su 368 casi di osteonecrosi, associate ad uso di bifosfonati, i risultati dimostrino come a fronte di un alto pericolo di insorgenza di questa malattia per pazienti che fanno uso endovenoso del farmaco [94%] a causa di problemi metastatici, la percentuale investa un numero veramente esiguo di pazienti che invece usano i bifosfonati per os nel trattamento preventivo dell’osteoporosi [4,8%].
Inoltre dai risultati di altri studi pubblicati su famose riviste scientifiche [Annals of Internal Medicine, maggio 2006], il numero di osteonecrosi dei mascellari di pazienti che fanno uso di alendronato è di 0,7 pz su 100.000 trattate per anno.
Ovviamente questo non vuol dire che l’ONMsia una complicanza impossibile, ma solo che la bassa percentuale di casi con la quale possa verificarsi non può esser considerata una controindicazione alla possibilità di ricorrere a terapia implantare, quand’essa sia ritenuta possibile dopo un’attenta analisi del caso clinico.
Nel 2004 giunge alla nostra attenzione la paziente S.P. di anni 67, le cui condizioni di salute generale sono sostanzialmente buone.

[Fig.1]
Foto 1 Situazione iniziale
[Fig.2]
Foto 2 L’esito prognostico osseo dopo l’estrazione chirurgica degli elementi residui è positivo ad 8 mesi.
[Fig.3]
Foto 3 Gli impianti eseguiti nell’arcata superiore vengono collegati mediante una barra alla quale si aggancia la protesi.
[Fig.4]
Foto 4 Protesi superiore
[Fig.5]
Foto 5 Controllo ad un anno
[Fig.6]
Foto 6 Controllo ad un anno/sorriso

All’anamnesi la paziente indica una lieve ipertensione, controllata farmacologicamente, ed una tendenza alla fragilità ossea, indotta da uno stato di osteoporosi post-menopausale, trattata con alendronato per via orale.
All’esame obiettivo si evince una parziale edentulia superiore ed inferiore, con abbondante presenza di tartaro e compromissione parodontale degli elementi dentari residui [Foto 1].
La condizione clinica determina grave disagio per la paziente non solo funzionale, ma anche negli scambi sociali.
Dal piano di trattamento preliminare, in cui si sono eseguite terapie d’igiene professionale ogni tre settimane, la paziente ha dimostrato grande motivazione nel mantenimento domiciliare dei risultati ottenuti e nella precisione con cui ha seguito gli appuntamenti. Seguendo le indicazioni della letteratura internazionale nel piano terapeutico, si è tentato di salvare gli elementi residui senza ricorrere a terapie di chirurgia parodontale.
Sono stati eseguiti splintaggio degli elementi residui, e manovre parodontali non invasive di scaling e root planing ogni 3 mesi, ma la compromissione parodontale è risultata troppo avanzata e, dopo circa un anno dalla presa in carica del paziente, si è dovuto ricorrere alla chirurgia estrattiva, previa terapia antibiotica.
Effettuate le estrazioni dopo un periodo di follow up di 8 mesi viste le buone condizioni di salute generale ed ossea [Foto 2] e i dati rilevati dalla letteratura; dopo aver opportunamente informato la paziente sulle possibili complicanze che tale terapia avrebbe comportato abbiamo optato per l’esecuzione del trattamento implanto-protesico.
A 5 fixture[Foto 3] inserite nel mascellare è stata agganciata un protesi totale[Foto 4]senza ritenzione palatina, la paziente è stata sottoposta a controlli radiografici dopo un mese e successivamente con cadenze trimestrali.
Ad un anno di distanza lo stato di salute orale della paziente è ottimo così come quello generale, e l’osteointegrazione delle fixture risponde ai requisiti di stabilità primaria richiesti dalla letteratura internazionale. In conclusione e visti i risultati ottenuti ad un anno di distanza dal carico della protesi,[Foto 5] il risultato del nostro caso report è il seguente: analizzato bene il caso clinico, se le condizioni generali consentono la chirurgia, considerato il rapporto rischio/beneficio, tra l’insorgenza di un osteonecrosi mascellare, nel paziente che fa uso di bifosfonati per os e la possibilità di ottenere un netto miglioramento della qualità della vita, è opportuno eseguire terapia implantoprotesica.[Foto 6]


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