Magazine
di
Francesca Decarlo
Trapianti di viso? Possibile
Il pensiero corre rapido al film The mask, quando il personaggio
principale si stirava il viso facendogli assumere le fogge più
strane. Ma la notizia che pubblichiamo non arriva da Hollywood bensì
dall’Italia e più precisamente da Roma, dall’Aurelia
Hospital.
Come dichiara all’Adn Kronos la professoressa Raffaella Garofalo,
primario della divisione di chirurgia plastica ricostruttiva e microchirurgia
presso la clinica capitolina, il trapianto di viso è possibile.
Per nutrire e mantenere vitale la pelle del volto reimpiantata sono
sufficienti 4 arterie e 6 vene: una «struttura» che
può essere realizzata dal chirurgo, mentre i problemi di
rigetto sono identici ad altri trapianti.
Più difficili da risolvere, invece, i problemi etici e organizzativi
mentre appare superabile il profilo estetico -ed esteriore- dell’intervento
visto che il trapianto non cambia i connotati del ricevente.
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Tra sei mesi
si tenterà il trapianto del volto
«Le operazioni potrebbero cominciare tra sei mesi. E i pazienti
che hanno subito gravi danni al viso dopo incidenti, ustioni o tumori
potrebbero trarne grandi benefici». A parlare è il
pioniere dei trapianti di volto, Peter Butler, ricercatore del Royal
Free di Londra, che per primo al mondo tenterà un trapianto
di faccia. E, in un’intervista rilasciata alla Bbc e riportata
da Il Giornale, Butler racconta quale sarà la tecnica rivoluzionaria
che aprirà un nuovo capitolo nella storia mondiale dei trapianti.
«Gli interventi su cui stiamo studiando -spiega Butler- sono
di due tipi. Il primo: dal donatore può essere prelevato
uno stampo di grasso compreso di pelle e vasi sanguigni da applicare
all’ossatura facciale, così che i caratteri somatici
del ricevente non vengono modificati». «Il secondo:
si può effettuare un’operazione più radicale
che -spiega ancora Butler- comprende anche il trapianto delle ossa
e, in quel caso, il paziente avrebbe un volto molto somigliante
a quello del donatore». «A beneficiare di questa metodologia
-aggiunge il chirurgo inglese- sarebbero le persone gravemente sfigurate
da tumori, ustioni o incidenti. In questi casi estremi può
essere molto difficile ricostruire in altro modo un volto».
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Primo trapianto
di utero umano
L’eccezionale intervento è stato eseguito in Arabia
Saudita su una donna di 26 anni, che aveva perso l’organo
dopo un’emorragia post-parto. L’evento non è
recente, visto che data 6 aprile del 2000: ma il fatto che il nuovo
utero abbia funzionato bene, anche in seguito ad appropriata terapia
ormonale per 99 giorni e poi sia stato rimosso a causa di una trombosi
vascolare acuta, vale da sé lo spazio di prima pagina e i
toni di enfasi con cui lo abbiamo definito eccezionale. Secondo
gli stessi medici arabi esecutori dell’intervento, con ulteriori
studi e progressi nella tecnica chirurgica, il trapianto di utero
potrebbe essere impiegato per il trattamento dell’infertilità.
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Un cuore che
cresce con te
Dall’america arriva il Synergraft, un cuore artificiale in
tessuto organico che cresce insieme all’organismo del paziente.
A ideare una delle ultime scoperte nel campo della bioingegneria
è stata l’industria biotecnologica più avanzata
sul nostro pianeta, la CryoLife, specializzata nella produzione
in laboratorio di tessuti cardiaci, tessuti vascolari e una speciale
«biocolla» necessaria per unire i punti di sutura. Le
Valvole utili per il trapianto vengono prese dal cuore dei suini
e per evitare il rischio di rigetto da parte dell’organismo
prima di installarle si procede distruggendo le cellule dei tessuti
che le compongono.
Per mettere in pratica questo processo si procede creando un’intelaiatura
costituita di collagene proteinico che poi viene inserita nel cuore
del paziente; dopodichè saranno direttamente le cellule di
quest’ultimo a svilupparsi intorno ad esso, senza problemi
di rigetto.
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Trapianto
del ginocchio
È italiano il «primo trapianto di ginocchio in Europa».
L’intervento, eseguito presso l’Istituto clinico Sant’Ambrogio
di Milano [gruppo ospedaliero San Donato] il 31 gennaio è
stato possibile grazie alla Banca dell’osso di Bologna. A
un uomo di 45 anni «affetto da artrosi post-traumatica del
comparto laterale del ginocchio sinistro -riferisce Domenico Siro
Brocchetta, autore dell’impianto- sono stati trapiantati il
condilo laterale, l’emipiatto tibiale laterale e il menisco
laterale». L’operazione, che permetterà al paziente
di tornare a camminare normalmente, è durata circa 2 ore
e il decorso post-operatorio è risultato «perfettamente
normale».
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Trapianto
multiviscerale
Trapiantati contemporaneamente, per la prima volta in Italia, l’intero
blocco intestinale [stomaco, duodeno, tenue e pancreas] e il fegato.
L’eccezionale intervento è stato eseguito a Modena,
dall’équipe del professor Antonio Pinna, direttore
del Centro trapianti multiviscerale e del fegato del Policlinico
emiliano. L’operazione, durata 12 ore, è stata eseguita
su una ragazza di 28 anni, calabrese di origini e residente a Trento,
affetta da una grave patologia intestinale, grazie alla donazione
di tutti gli organi da parte di un giovane 25enne di Trapani. In
America sono solo tre i centri che eseguono interventi di tale complessità,
mentre in Europa ne è stato eseguito solo uno a Parigi su
un bambino. Quello italiano è dunque il primo intervento
del genere su un paziente adulto.
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50 anni fa il primo trapianto, ma molto c’è
da fare
Sono passati 50 anni dal primo trapianto di organo da vivente con
esito positivo [un trapianto di rene effettuato a Boston nel 1954
da Joseph Murray tra due gemelli: circostanza che evitò il
rigetto] e 20 anni dall’introduzione della ciclosporina, la
prima molecola utilizzata come immunosoppressore, vale a dire per
ridurre il rischio di rigetto e la mortalità dei pazienti
trapiantati, riuscendo a controllare la risposta del sistema immunitario.
Oggi sono in crescita i trapianti e le donazioni, ma migliaia di
pazienti sono in attesa di un nuovo organo. Per i trapianti però
ci sono nuove sfide. Le nuove frontiere sono costituite dagli xenotrapianti,
vale a dire i trapianti di organi di animali nell’uomo accompagnati
dall’immissione nell’animale donatore di geni capaci
di controllare le risposte immunitarie della specie sulla quale
si vuole effettuare il trapianto; gli organi artificiali, il cui
impiego per ora è limitato a casi particolari ed a periodi
di tempo ridotti; e l’utilizzo delle cellule staminali per
rigenerare tessuti degli organi stessi, anche se per organi come
il cuore, il fegato o il rene, la strada da percorrere è
molto lunga. Sul fronte del rischio di rigetto, sono state invece
scoperte nuove molecole che promettono di ridurre ulteriormente
il rischio e presentate in occasione dell’American Transplant
Congress a Boston. Si tratta dell’ Everolimus, dell’acido
micofenolico, e di Fty 720. Secondo l’immunologo Gianni Ippoliti,
primario di Medicina interna all’ospedale di Voghera e docente
alla Università di Pavia, a Boston per il meeting mondiale,
dal primo trapianto molta strada è stata fatta, soprattutto
per evitare il rigetto dell’organo trapiantato, grazie soprattutto
a nuovi farmaci mirati che agiscono selettivamente sul sistema immunitario
e con ridotti effetti collaterali. Uno dei problemi da risolvere
attualmente è quello di mettere a punto nuovi farmaci contro
il rigetto cronico, vale a dire, il lento processo con cui il sistema
immunitario, nonostante l’azione dei farmaci, tende a minare
la funzionalità dell’organo trapiantato nel tempo.
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Nuova diagnosi
per complicazioni dei trapianti d’organo
Una nuova e sofisticata tecnologia di diagnosi al centro di un confronto
tra esperti a livello nazionale. L’equipe di microbiologia
degli Ospedali Riuniti di Bergamo è all’avanguardia
nella diagnosi delle patologie linfoproliferative nei pazienti sottoposti
a trapianto d’organo.
«In soggetti immunocompromessi perché sottoposti a
trapianto d’organo» spiega il Dott. Antonio Goglio,
Direttore dell’U.o. Microbiologia e Virologia dei Riuniti
«l’insorgenza di disordini linfoproliferativi [Ptld],
generalmente provocati dall’Epstein Barr Virus Barr Virus
[Ebv], rappresenta un problema emergente e si verifica in media
nel 2-10% della popolazione trapiantata. Tale incidenza nei pazienti
pediatrici trapiantati di fegato sale al 10-13% associata ad un
alto tasso di mortalità».
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Trapianti
di fegato, risultati ok
Si rivelano soddisfacenti i risultati dei trapianti di fegato da
donatore vivente, sia per chi riceve l’organo sia per il donatore,
che risente di complicazioni sempre più ridotte. La notizia
giunge dal Giappone dove una ricerca retrospettiva pubblicata su
ha passato in rassegna 110 interventi, dei quali 72 su bambini e
38 su adulti. I progressi delle persone trapiantate sono stati “eccellenti”,
secondo i ricercatori, soprattutto in relazione ai pazienti colpiti
da epatite fulminante. La sopravvivenza ad un anno si è rivelata
dell’88% e dell’85% a 3 e 5 anni. In tutto il mondo
sono stati realizzati, fino ad oggi, circa 1500 trapianti epatici
da vivente ma, dicono gli studiosi giapponesi, numerosi aspetti
di questa procedura non sono stati sufficientemente verificati.
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Scienziati
britannici vogliono clonare l’uomo
Scienziati britannici hanno in programma di clonare un embrione
umano a scopo terapeutico entro la fine dell’anno e a tal
fine attendono l’approvazione da parte della commissione etica.
I ricercatori dell’Università de Newcastle guidati
da Alison Murdoch, autori della richiesta, hanno subito sottolineato
lo scopo terapeutico della ricerca, volto all’ottenimento
di nuovi trattamenti per gravi malattie e non alla creazione di
un bambino clonato. Nel caso in cui sarà concessa l’autorizzazione,
tuttavia, si prevede che ci sarà l’aspra disapprovazione
di gruppi anti-abortisti e religiosi che si oppongono a tutte le
ricerche sugli embrioni umani. I membri della Human Fertilisation
and Embryology Authority [Hfea] stanno ora esaminando la prima richiesta
formale per la clonazione di un embrione umano e si prevede che
la decisione venga presa nelle prossime settimane. Alison Murdoch,
del Newcastle’s Institute of Human Genetics, ha fatto sapere
che il suo team si metterà a lavoro non appena sarà
stata rilasciata l’autorizzazione e spera che entro pochi
mesi il suo team possa essere in grado di generare il primo embrione
umano. Quello di Newcastle è uno dei due team di ricercatori
che in Gran-Bretagna hanno già coltivato in laboratorio cellule
staminali di embrioni umani. Le cellule staminali embrionali hanno
la capacità di svilupparsi trasformandosi in vari tipi di
tessuto specializzato e sono ritenute vitali per la futura medicina
dei trapianti. Lo scopo dei ricercatori attraverso la generazione
dell’embrione umano clonato è quello di ottenere cellule
staminali embrionali dal paziente che ne ha bisogno. |