MTM n°8 MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 3 - Numero 3/4 - mag/ago 2004
Magazine
 

Francesca De Carlo
Francesca Decarlo

Anno 3 - Numero 3/4
mag/ago 2004



Magazine
di Francesca Decarlo


Trapianti di viso? Possibile
Il pensiero corre rapido al film The mask, quando il personaggio principale si stirava il viso facendogli assumere le fogge più strane. Ma la notizia che pubblichiamo non arriva da Hollywood bensì dall’Italia e più precisamente da Roma, dall’Aurelia Hospital.
Come dichiara all’Adn Kronos la professoressa Raffaella Garofalo, primario della divisione di chirurgia plastica ricostruttiva e microchirurgia presso la clinica capitolina, il trapianto di viso è possibile. Per nutrire e mantenere vitale la pelle del volto reimpiantata sono sufficienti 4 arterie e 6 vene: una «struttura» che può essere realizzata dal chirurgo, mentre i problemi di rigetto sono identici ad altri trapianti.
Più difficili da risolvere, invece, i problemi etici e organizzativi mentre appare superabile il profilo estetico -ed esteriore- dell’intervento visto che il trapianto non cambia i connotati del ricevente.
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Tra sei mesi si tenterà il trapianto del volto
«Le operazioni potrebbero cominciare tra sei mesi. E i pazienti che hanno subito gravi danni al viso dopo incidenti, ustioni o tumori potrebbero trarne grandi benefici». A parlare è il pioniere dei trapianti di volto, Peter Butler, ricercatore del Royal Free di Londra, che per primo al mondo tenterà un trapianto di faccia. E, in un’intervista rilasciata alla Bbc e riportata da Il Giornale, Butler racconta quale sarà la tecnica rivoluzionaria che aprirà un nuovo capitolo nella storia mondiale dei trapianti. «Gli interventi su cui stiamo studiando -spiega Butler- sono di due tipi. Il primo: dal donatore può essere prelevato uno stampo di grasso compreso di pelle e vasi sanguigni da applicare all’ossatura facciale, così che i caratteri somatici del ricevente non vengono modificati». «Il secondo: si può effettuare un’operazione più radicale che -spiega ancora Butler- comprende anche il trapianto delle ossa e, in quel caso, il paziente avrebbe un volto molto somigliante a quello del donatore». «A beneficiare di questa metodologia -aggiunge il chirurgo inglese- sarebbero le persone gravemente sfigurate da tumori, ustioni o incidenti. In questi casi estremi può essere molto difficile ricostruire in altro modo un volto».
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Primo trapianto di utero umano
L’eccezionale intervento è stato eseguito in Arabia Saudita su una donna di 26 anni, che aveva perso l’organo dopo un’emorragia post-parto. L’evento non è recente, visto che data 6 aprile del 2000: ma il fatto che il nuovo utero abbia funzionato bene, anche in seguito ad appropriata terapia ormonale per 99 giorni e poi sia stato rimosso a causa di una trombosi vascolare acuta, vale da sé lo spazio di prima pagina e i toni di enfasi con cui lo abbiamo definito eccezionale. Secondo gli stessi medici arabi esecutori dell’intervento, con ulteriori studi e progressi nella tecnica chirurgica, il trapianto di utero potrebbe essere impiegato per il trattamento dell’infertilità.
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Un cuore che cresce con te
Dall’america arriva il Synergraft, un cuore artificiale in tessuto organico che cresce insieme all’organismo del paziente. A ideare una delle ultime scoperte nel campo della bioingegneria è stata l’industria biotecnologica più avanzata sul nostro pianeta, la CryoLife, specializzata nella produzione in laboratorio di tessuti cardiaci, tessuti vascolari e una speciale «biocolla» necessaria per unire i punti di sutura. Le Valvole utili per il trapianto vengono prese dal cuore dei suini e per evitare il rischio di rigetto da parte dell’organismo prima di installarle si procede distruggendo le cellule dei tessuti che le compongono.
Per mettere in pratica questo processo si procede creando un’intelaiatura costituita di collagene proteinico che poi viene inserita nel cuore del paziente; dopodichè saranno direttamente le cellule di quest’ultimo a svilupparsi intorno ad esso, senza problemi di rigetto.
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Trapianto del ginocchio
È italiano il «primo trapianto di ginocchio in Europa». L’intervento, eseguito presso l’Istituto clinico Sant’Ambrogio di Milano [gruppo ospedaliero San Donato] il 31 gennaio è stato possibile grazie alla Banca dell’osso di Bologna. A un uomo di 45 anni «affetto da artrosi post-traumatica del comparto laterale del ginocchio sinistro -riferisce Domenico Siro Brocchetta, autore dell’impianto- sono stati trapiantati il condilo laterale, l’emipiatto tibiale laterale e il menisco laterale». L’operazione, che permetterà al paziente di tornare a camminare normalmente, è durata circa 2 ore e il decorso post-operatorio è risultato «perfettamente normale».
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Trapianto multiviscerale
Trapiantati contemporaneamente, per la prima volta in Italia, l’intero blocco intestinale [stomaco, duodeno, tenue e pancreas] e il fegato. L’eccezionale intervento è stato eseguito a Modena, dall’équipe del professor Antonio Pinna, direttore del Centro trapianti multiviscerale e del fegato del Policlinico emiliano. L’operazione, durata 12 ore, è stata eseguita su una ragazza di 28 anni, calabrese di origini e residente a Trento, affetta da una grave patologia intestinale, grazie alla donazione di tutti gli organi da parte di un giovane 25enne di Trapani. In America sono solo tre i centri che eseguono interventi di tale complessità, mentre in Europa ne è stato eseguito solo uno a Parigi su un bambino. Quello italiano è dunque il primo intervento del genere su un paziente adulto.
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50 anni fa il primo trapianto, ma molto c’è da fare
Sono passati 50 anni dal primo trapianto di organo da vivente con esito positivo [un trapianto di rene effettuato a Boston nel 1954 da Joseph Murray tra due gemelli: circostanza che evitò il rigetto] e 20 anni dall’introduzione della ciclosporina, la prima molecola utilizzata come immunosoppressore, vale a dire per ridurre il rischio di rigetto e la mortalità dei pazienti trapiantati, riuscendo a controllare la risposta del sistema immunitario. Oggi sono in crescita i trapianti e le donazioni, ma migliaia di pazienti sono in attesa di un nuovo organo. Per i trapianti però ci sono nuove sfide. Le nuove frontiere sono costituite dagli xenotrapianti, vale a dire i trapianti di organi di animali nell’uomo accompagnati dall’immissione nell’animale donatore di geni capaci di controllare le risposte immunitarie della specie sulla quale si vuole effettuare il trapianto; gli organi artificiali, il cui impiego per ora è limitato a casi particolari ed a periodi di tempo ridotti; e l’utilizzo delle cellule staminali per rigenerare tessuti degli organi stessi, anche se per organi come il cuore, il fegato o il rene, la strada da percorrere è molto lunga. Sul fronte del rischio di rigetto, sono state invece scoperte nuove molecole che promettono di ridurre ulteriormente il rischio e presentate in occasione dell’American Transplant Congress a Boston. Si tratta dell’ Everolimus, dell’acido micofenolico, e di Fty 720. Secondo l’immunologo Gianni Ippoliti, primario di Medicina interna all’ospedale di Voghera e docente alla Università di Pavia, a Boston per il meeting mondiale, dal primo trapianto molta strada è stata fatta, soprattutto per evitare il rigetto dell’organo trapiantato, grazie soprattutto a nuovi farmaci mirati che agiscono selettivamente sul sistema immunitario e con ridotti effetti collaterali. Uno dei problemi da risolvere attualmente è quello di mettere a punto nuovi farmaci contro il rigetto cronico, vale a dire, il lento processo con cui il sistema immunitario, nonostante l’azione dei farmaci, tende a minare la funzionalità dell’organo trapiantato nel tempo.
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Nuova diagnosi per complicazioni dei trapianti d’organo
Una nuova e sofisticata tecnologia di diagnosi al centro di un confronto tra esperti a livello nazionale. L’equipe di microbiologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo è all’avanguardia nella diagnosi delle patologie linfoproliferative nei pazienti sottoposti a trapianto d’organo.
«In soggetti immunocompromessi perché sottoposti a trapianto d’organo» spiega il Dott. Antonio Goglio, Direttore dell’U.o. Microbiologia e Virologia dei Riuniti «l’insorgenza di disordini linfoproliferativi [Ptld], generalmente provocati dall’Epstein Barr Virus Barr Virus [Ebv], rappresenta un problema emergente e si verifica in media nel 2-10% della popolazione trapiantata. Tale incidenza nei pazienti pediatrici trapiantati di fegato sale al 10-13% associata ad un alto tasso di mortalità».
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Trapianti di fegato, risultati ok
Si rivelano soddisfacenti i risultati dei trapianti di fegato da donatore vivente, sia per chi riceve l’organo sia per il donatore, che risente di complicazioni sempre più ridotte. La notizia giunge dal Giappone dove una ricerca retrospettiva pubblicata su ha passato in rassegna 110 interventi, dei quali 72 su bambini e 38 su adulti. I progressi delle persone trapiantate sono stati “eccellenti”, secondo i ricercatori, soprattutto in relazione ai pazienti colpiti da epatite fulminante. La sopravvivenza ad un anno si è rivelata dell’88% e dell’85% a 3 e 5 anni. In tutto il mondo sono stati realizzati, fino ad oggi, circa 1500 trapianti epatici da vivente ma, dicono gli studiosi giapponesi, numerosi aspetti di questa procedura non sono stati sufficientemente verificati.
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Scienziati britannici vogliono clonare l’uomo
Scienziati britannici hanno in programma di clonare un embrione umano a scopo terapeutico entro la fine dell’anno e a tal fine attendono l’approvazione da parte della commissione etica. I ricercatori dell’Università de Newcastle guidati da Alison Murdoch, autori della richiesta, hanno subito sottolineato lo scopo terapeutico della ricerca, volto all’ottenimento di nuovi trattamenti per gravi malattie e non alla creazione di un bambino clonato. Nel caso in cui sarà concessa l’autorizzazione, tuttavia, si prevede che ci sarà l’aspra disapprovazione di gruppi anti-abortisti e religiosi che si oppongono a tutte le ricerche sugli embrioni umani. I membri della Human Fertilisation and Embryology Authority [Hfea] stanno ora esaminando la prima richiesta formale per la clonazione di un embrione umano e si prevede che la decisione venga presa nelle prossime settimane. Alison Murdoch, del Newcastle’s Institute of Human Genetics, ha fatto sapere che il suo team si metterà a lavoro non appena sarà stata rilasciata l’autorizzazione e spera che entro pochi mesi il suo team possa essere in grado di generare il primo embrione umano. Quello di Newcastle è uno dei due team di ricercatori che in Gran-Bretagna hanno già coltivato in laboratorio cellule staminali di embrioni umani. Le cellule staminali embrionali hanno la capacità di svilupparsi trasformandosi in vari tipi di tessuto specializzato e sono ritenute vitali per la futura medicina dei trapianti. Lo scopo dei ricercatori attraverso la generazione dell’embrione umano clonato è quello di ottenere cellule staminali embrionali dal paziente che ne ha bisogno.