MTM n°10
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 3 - Numero 6 - nov/dic 2004
Formazione spirituale - A colloquio con i lettori
 


Don Primo Martinuzzi
Don Primo Martinuzzi

Anno 3 - Numero 6
nov/dic 2004

 


I dieci comandamenti di San Camillo De Lellis
Per gli operatori sanitari
di Don Primo Martinuzzi

Da questo numero di MTM, ci sarà sempre una pagina dedicata ai problemi di etica medica e di formazione spirituale rivolta ai medici, alla luce dell’insegnamento illuminante del Santo Padre e del Magistero della Chiesa. Questo servizio sarà curato dal collega Don Primo Martinuzzi, che dopo aver lavorato per nove anni come massimalista nella medicina generica in provincia di Padova e da specialista in psichiatria dal 1982, dal 1991 è sacerdote e teologo della vita consacrata e quindi svolge un prezioso lavoro di formazione, integrando le competenze scientifiche con quelle teologico-spirituali. Attualmente parroco in una piccola parrocchia della diocesi di Palestrina [Roma], è sociofondatore dell’Associazione dei Medici-Consacrati e animatore spirituale del Movimento Diaconia Medica Missionaria.
Il collega Don Primo si è reso anche disponibile in questa pagina a rispondere a tutti quei quesiti che i nostri lettori vorranno rivolgergli a riguardo delle tematiche da lui trattate. Verrà perciò curata da lui e pubblicata in questa pagina della rivista anche una piccola rubrica: Colloquio con i lettori.
La Redazione

Io sono il malato tuo signore e padrone
1. Onorerai la dignità e la sacralità della mia persona;
2. Mi servirai come madre affettuosa e tenerissima
con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza, con tutta la fantasia,
con tutte le forze e con tutto il tuo tempo;
3. Ricordati di dimenticare te stesso;
4. Non nominare il nome della carità invano.
Parlerai di preferenza con i piedi, le ginocchia e soprattutto con le mani;
5. Non commettere distrazioni;
6. Non uccidere la mia speranza con la fretta, l’irritazione, l’impazienza;
7. Non rinchiudermi in una cartella clinica e non nasconderti dietro il ruolo professionale;
8. Non sconsacrare il tuo cuore con il pensiero del denaro;
9. Desidera fortemente la mia guarigione;
10. Non esitare ad impossessarti della mia sofferenza.
Quando non puoi togliermi il dolore, almeno condividilo;
E quando avrai fatto tutto quello che devi fare, quando sarai stato ciò che devi essere,
quando non ti sarai tirato indietro di fronte a niente, … non scordare di ringraziarmi.

Nella relazione terapeuta-paziente, c’è uno scambio di doni naturali e soprannaturali, dei quali quelli apportati dal paziente sono generalmente superiori a quelli del terapeuta: tra essi il dono della sofferenza a favore di tutta la Chiesa e, quindi, anche del terapeuta che della Chiesa ne fa parte dal giorno del suo battesimo. Dice infatti S. Paolo: «Completo nella mia carne ciò che manca alla Passione di Cristo a favore del Suo Corpo che è la Chiesa» [Lettera ai Colossesi 1, 24]. C’è poi il dono della remunerazione, della qualificazione ed esperienza professionale, della testimonianza umana ricca di sensibilità e di ogni virtù, rese a volte eroiche dalla sopportazione dell’acuta sofferenza che nel caso della malattia psichica, soprattutto, può portare il paziente a togliersi la vita. È Gesù stesso, presente nella persona del sofferente, che benefica chi si avvicina a Lui con amore nella relazione terapeutica: «Ero malato e mi avete visitato» [Vangelo di Matteo 25, 36].

Papa Giovanni Paolo IIMessaggio di Giovanni Paolo II al XXIII Congresso Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani [Roma, 6 novembre 2004]
L’unica risposta veramente umana difronte alla sofferenza altrui è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione.
«Nella vostra opera di salvaguardia e di promozione della salute, non trascurate mai la dimensione spirituale dell’uomo. Se cercando di guarire e di alleviare le sofferenze, avrete ben presente il senso della vita e della morte e la funzione del dolore nella vicenda umana, riuscirete ad essere autentici promotori di civiltà.
Nella nostra società prevale a volte una mentalità arrogante, che pretende di discriminare tra vita e vita, dimenticando che l’unica risposta veramente umana di fronte alla sofferenza altrui è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione. Purtroppo, come in tante altre attività umane, anche nella medicina, il progresso scientifico, se da una parte rappresenta uno strumento formidabile per migliorare le condizioni di vita e di benessere, dall’altra può anche essere asservito alla volontà di sopraffazione e di dominio. La ricerca scientifica, per sua propria natura orientata al bene dell’uomo, rischia allora di smarrire la sua vocazione originaria. Nessun tipo di ricerca può ignorare l’intangibilità di ogni singolo essere umano: violare questa barriera significa aprire le porte a una nuova forma di barbarie. Cari Medici, la visione cristiana del servizio al prossimo sofferente non può che giovare all’esercizio corretto di una professione di fondamentale rilevanza sociale. Anche la ricerca biomedica attende di essere vivificata dall’ispirazione cristiana per contribuire sempre meglio al vero benessere dell’umanità.
Negli ospedali o nei laboratori siate fieri dell’identità cristiana, che vi ha caratterizzato in questi sessant’anni di servizio ai malati e di promozione della vita. Sappiate riconoscere in ogni ammalato lo stesso Cristo. All’apporto insostituibile della vostra professionalità aggiungete il “cuore”, che solo è in grado di umanizzare le strutture. Vivificate il servizio con la preghiera costante a Dio, “amante della vita” [Sap 11, 26].

Per commenti e domande:
spiritosanto300951@tiscali.it