MTM n°11
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 4 - Numero 1 - gen/apr 2005
Primo piano
 



Vito Scalisi


Anno 4 - Numero 1
gen/apr 2005


«I medici dovrebbero imparare l’arte
di aiutare gli agonizzanti a uscire
da questo mondo con più dolcezza
e serenità…»
[F. Bacone]

 

«Non somministrerò
ad alcuno,
neppure se richiesto,
un farmaco mortale,
né suggerirò
un tale consiglio…»
[Ippocrate]




 


Avv. Nino MarazzitaEutanasia, un diritto del paziente contro un'antica atica medica
A colloquio con l'Avv. Nino Marazzita
di Vito Scalisi

La parola morte oggi non possiede più, nella nostra cultura, alcun riferimento naturale. La storia dell’uomo è pervasa di fallimenti nel tentativo di scoprire il mistero nascosto dietro questo evento fisico, ma anche dagli estenuanti sforzi di allontanare il senso prima di frustrazione, poi di paura che la morte è capace di innescare nel nostro animo. Con un abile escape psichico abbiamo reso la morte un concetto sterile. La morte degli altri non ci appartiene e quella nostra sembra non debba arrivare mai. I media hanno svolto un ruolo fondamentale nella realizzazione di questa finzione. Una struttura sociale, essenzialmente occidentale, che mostra troppo spesso i suoi limiti. Paradossi legislativi e religiosi, imbarazzi deontologici svelano l’inefficacia di questa costruzione. All’interno di questa cornice si inserisce il caso Schiavo. La spettacolare enfatizzazione di un evento a livello mediatico contro la drammaticità, ancora una volta celata dietro i riflettori di prima fila, dell’essere umano faccia a faccia con la morte e la sofferenza. In ambito medico la questione non è poi demandabile. Infatti oggi l’eutanasia implica l’intervento diretto del medico nell’aiutare il paziente morente. Proprio questo intervento rende la situazione delicata, lo stesso giuramento di Ippocrate insegna al medico a salvare la vita alle persone e non a portar loro la morte. Si legge: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio…». Fu il medico e filosofo inglese Francesco Bacone, all’inizio del Seicento il primo a pensarla diversamente: «I medici dovrebbero imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti a uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità…». Da una parte il problema è dunque quello di riconoscere fino in fondo l’autonomia del paziente, dall’altra è quello di formulare una nuova etica per i medici, in cui il dovere assoluto alla cura, si concili con il rispetto della volontà della persona morente. Intanto la questione rimane ancora nelle mani della eterogenea giurisprudenza di ogni stato, a cui è affidato il compito di sbrogliare questa matassa esistenziale. «La scelta deve dipendere solo dal paziente» è il parere del noto avvocato Nino Marazzita, a cui abbiamo rivolto qualche domanda in merito.

Grande scalpore ha suscitato negli Usa il caso Schiavo, un caso di eutanasia che ha scosso persino i vertici governativi americani. In uno Stato in cui la pena di morte è applicabile anche ai minori, perché tanto clamore per le sorti di una donna ridotta da anni allo stato vegetale?
Credo che il clamore suscitato dal caso di Terri Schiavo, a livello planetario, sia dovuto al modo in cui è stata provocata la morte della povera ragazza; l’atrocità del metodo utilizzato dai medici per provocare il decesso, ovvero l’interruzione della somministrazione di alimenti e bevande, è tanto più evidente se si considera che l’accezione letterale del termine “eutanasia”, in greco antico, corrisponde a “buona morte”. Il diritto di essere malato, di non essere curato o di lasciarsi morire dovrebbe spettare inoltre solo al paziente e non anche ai genitori, ai familiari o alla “burocrazia” di qualche Autorità Giudiziaria; per tale motivo condivido le legislazioni di altri Stati che prevedono le cosiddette “direttive anticipate”, vale a dire dei veri e propri “testamenti biologici” nei quali ciascuno decide della propria vita nella malaugurata ipotesi in cui si venisse a trovare nell’impossibilità di manifestare il proprio parere [si veda la legislazione di alcuni Stati dell’Australia, del Canada, della Danimarca, degli Stati Uniti e dei Paesi Bassi].
In Italia come si comporta la giurisprudenza nei confronti di chi richiede l’eutanasia per un suo caro? Secondo lei andrebbe modificata o si tratta della migliore formulazione possibile?
La legislazione italiana e anche la giurisprudenza, assimila la c.d. “eutanasia attiva”, ovvero la causazione della morte da parte del medico, all’omicidio volontario, punito con una minor pena nel caso in cui si riesca a dimostrare il consenso del malato a morire; tale ipotesi, definita dal codice penale “omicidio del consenziente”, è punita con la reclusione da sei a quindici anni anziché con la detenzione, prevista per l’omicidio volontario, non inferiore agli anni ventuno.
Più complicato è il caso di “eutanasia passiva”, vale a dire l’ipotesi in cui il medico si astenga dal praticare cure volte a tenerlo ancora in vita; difatti in tali ipotesi bisogna coniugare il diritto di non essere sottoposto ad inutili “accanimenti terapeutici” con il diritto–dovere alla vita.
A fronte del difficile contemperamento di questi due diritti–doveri, accade spesso che, malgrado soventi richieste dei familiari di lasciar morire i propri cari affetti da patologie irreversibili o da stati vegetativi, l’applicazione concreta delle norme, compiuta dalla magistratura, tenda a tutelare il diritto alla vita; si pensi ad esempio al caso di Eluana, una ragazza di Lecco che malgrado versi in uno stato comatoso permanente dal 1992, a causa di un incidente stradale, non viene lasciata morire dai giudici del nostro paese.


«Buona morte»
Eutanasia in greco antico significa, letteralmente, buona morte. Oggi con questo termine si definisce correntemente l’intervento medico volto ad abbreviare l’agonia di un malato terminale. Si parla di "eutanasia passiva" quando il medico si astiene dal praticare cure volte a tenere ancora in vita il malato, di "eutanasia attiva" quando il medico causa, direttamente, la morte del malato, di "eutanasia attiva volontaria" quando il medico agisce su richiesta esplicita del malato. Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto "suicidio assistito", ovvero l’atto autonomo di porre termine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza e con mezzi forniti da un medico.


Terry SchiavoLe tappe della vicenda Schiavo
La vicenda inizia nel 1991 quando Terri Schiavo - 26 anni - viene colpita da un collasso cardiaco che interrompe per alcuni minuti l’afflusso di ossigeno al cervello. Questo le provoca danni alla corteccia cerebrale. Da allora la donna vive in uno stato vegetativo ed è ricoverata in una casa di degenza. Nel 1992 la famiglia intenta e vince alcune cause contro i medici che sarebbero intervenuti in maniera non adeguata. Negli anni tra il 1993 e il 2005 inizia una lunga battaglia legale tra i genitori di Terri - Robert Mary Schindler - e il marito della donna Michael Schiavo. I primi sempre convinti della possibilità che la figlia recuperi, il secondo determinato a far rispettare quella che secondo lui sarebbe la volontà di Terri. Il 25 febbraio 2005. Il giudice Grear della contea di Pinellas, in Florida, ordina che i meccanismi di nutrimento e idratazione che mantengono in vita la donna siano rimossi alle ore 13 di venerdì 18 marzo. Morirà 13 giorni dopo.



Eluana Englaro
Eluana Englaro
prima dell'incidente
In Italia il caso Eluana
Eluana Englaro entrò in coma la notte del 18 gennaio 1992 a seguito di un incidente stradale. Da allora anche per lei, come per Terri, una "non vita" che i genitori vorrebbero finisse una volta per tutte. La ragazza aveva 19 anni e stava rientrando a casa dopo aver passato la serata con amici. L'auto su cui viaggiava finì contro un palo. Da quella notte non si è mai ripresa e finora inutili sono state le richieste di papà Beppino di "staccare la spina". Da allora si trova in uno stato vegetativo, i suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non vedono. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile. Poi di nuovo a letto. «Mantenendo in stato vegetativo Eluana, le viene garantita la dignità umana?». È questo il quesito contenuto nel ricorso presentato a metà gennaio alla Suprema Corte, che ha respinto la richiesta, dall'avvocato Vittorio Angiolini. «Qui non si tratta di eutanasia - spiega Beppino -. Si chiede piuttosto di smetterla con un inutile accanimento terapeutico, ma soprattutto di rispettare la volontà di mia figlia espressa prima di quel maledetto giorno».


Un po' di storia
Nella Grecia antica il suicidio riscuoteva un’alta considerazione: si supponeva che ognuno fosse libero di disporre come meglio credesse della propria vita. L’assistenza al suicidio nel mondo classico non fu proibita fino all’avvento al potere del cristianesimo. Agli inizi di questo secolo alcuni pionieri riproposero il tema all’opinione pubblica: la durata della vita andava allungandosi, ma non sempre a una maggior durata si accompagnava la possibilità di godere, per più tempo, di una qualità di vita dignitosa. Oggi le associazioni di tutto il mondo sono riunite nella World Federation of Right to Die Societies [Federazione Mondiale delle Società per il Diritto di Morire]. Il "consenso informato" è oramai entrato a far parte del vocabolario medico: con esso è stata riconosciuto il diritto del paziente di dire la sua sulle cure che dovrà ricevere. Ora la battaglia delle associazioni si è sostanzialmente spostata, oltre che sulla richiesta della legalizzazione, sulla liceità e sul valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di "direttive anticipate"; qualora, in futuro, si venisse a trovare nell’impossibilità di opinare sulle cure ricevute. A tal fine sono stati quindi elaborati dei veri e propri "testamenti biologici". Obbiettivo ultimo è riuscire a far sancire il diritto di ogni individuo di disporre liberamente della propria esistenza.


1967 Luis Kutner conia l’espressione “Living will” per designare il rifiuto di alcune forme di terapie
1973 nascono in Oldanda società per l’eutanasia volontaria 1976 si tiene a Tokyo il primo incontro internazionale delle società
per l’eutanasia volontaria
1980 nasce la World Federation of Right-to-Die Societies, costituta ad Oxford [Inghilterra] a partire da 27 gruppi appartenenti a 18 nazioni
1980 viene resa pubblica la “Dichiarazione sull’eutanasia” della Sacra Congregazione per la dottrina della fede [Chiesa Cattolica] che esprime una netta condanna di tale pratica
1983 viene resa pubblica la “Dichiarazione sulla fase finale della malattia” dell’Associazione Medica Mondiale, che ancora ribadisce la necessità di curare le persone sofferenti senza sopprimerle
1984 la Suprema corte olandese approva la pratica dell’eutanasia, a determinate condizioni
1991 il Congresso degli Stati Uniti approva il Patient Self-Determination Act , che impone agli ospedali il rispetto dei living wills; l’anno successivo è l’Associazione Medica britannica a dichiarare il proprio supporto ai living wills
1996 il governo del Territorio dell’Australia del Nord approva la prima legge che consente l’eutanasia attiva volontaria, che viene però soppressa nel 1997 dal Parlamento Federale australiano
1998 in Cina il governo autorizza la soppressione dei malati terminali
2001 viene approvata la legge che legalizza l’eutanasia in Olanda
2002 entra in vigore la legge che legalizza l’eutanasia in Belgio
2004 in Olanda l’eutanasia è legale anche per i bambini sotto i 12 anni