Arrivano
gli occhi bionici
Londra,
presentati i tecno-occhiali che ridonerebbero parzialmente la vista
ai non-vedenti
di Ernesto Iusi
Esistono
ancora molti dubbi sulla reale portata dell’invenzione. Partita
da Londra la notizia della scoperta di un occhio artificiale, capace
di restituire “parzialmente” la vista ai non vedenti,
ha fatto in pochi giorni il giro del mondo. Annunciata dal quotidiano
londinese della sera Evening Standard come un miracolo della nanotecnologia,
rappresenta ancora un prototipo in fase sperimentale e a tutt’oggi
priva di applicazioni sull’essere umano. La stessa direttrice
del Royal National Institute for the Blind consiglia di tenere sotto
cautela ogni forma di entusiasmo: «Si tratta di una grande
conquista tecnologica, potenzialmente destinata a cambiare la vita
di migliaia di persone. Dobbiamo tuttavia essere anche consapevoli
che siamo ancora lontani da un prodotto definitivo e di provata
efficacia». Il dispositivo, composto da una videocamera e
da un microcomputer installati su speciali occhiali che il paziente
deve indossare, ha lo scopo di stimolare i nervi ottici al fine
di far credere al cervello umano che l’occhio funzioni regolarmente.
La videocamera filma un immagine, di una persona o di un oggetto,
le codifica, quindi le trasmette via wireless a un microchip inserito
nel bulbo oculare. Il microchip ha il compito di stimolare le terminazioni
nervose dell’occhio, le quali così inviano impulsi
al cervello, dove si viene a formare l’immagine raccolta dalla
videocamera. In questo modo, naturalmente, il cervello può
ricostruire soltanto approssimativamente l’immagine originariamente
catturata dall’apparecchio: «Ma sebbene le figure così
ricreate non siano particolarmente esatte - nota l’Evening
Standard - esse sono comunque abbastanza chiare per consentire il
riconoscimento di volti e di determinati oggetti». La notizia
è inoltre giunta simultaneamente all’annuncio che un
prototipo di occhio bionico, tecnicamente molto vicino a quello
appena descritto, era stato sperimentato con successo sui topi da
ricercatori dell’Università di Stanford in Usa.
Occhi bionici a parte. Degna di nota è infine la notizia
della scoperta del gene della miopia diffusa da un gruppo di scienziati
britannici. Un’epidemia mondiale, come la definiscono gli
esperti, che interessa circa 17 milioni di italiani, almeno un europeo
su quattro e fino ai due terzi degli orientali. Si chiama Pax6,
ed è il gene, secondo questi scienziati, attraverso cui è
possibile spiegare il 90% dei casi di predisposizione alla cosiddetta
vista corta. A comunicare il risultato è stato Chris Hammond
del Saint Thomas Hospital di Londra: «I motivi che inducono
la miopia- spiega lo scienziato- sono principalmente legati alle
suscettibilità genetiche del Pax6, benché anche alcuni
fattori ambientali possano avere un ruolo». Il ricercatore
è convinto che, alla luce dei nuovi studi, «la chimica
biomolecolare potrà riservare risposte importanti alla guarigione
della malattia».
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Una
cellula [in questo caso neuronale]
sopra un chip di silicio,
al microscopio elettronico.
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Piccoli robot
crescono e imparano a camminare
Addio automi
tutti cervello di silicio e muscoli d'acciaio… I robot del
futuro potrebbero avere “muscoli” veri. All'università
di Los Angeles un team di scienziati guidati da Carlo Montemagno
hanno sperimentato il primo nanorobot capace di muoversi, o meglio
strisciare, grazie a veri e propri muscoli, cresciuti a partire
da cellule di mammiferi.
I ricercatori sono infatti riusciti a far crescere delle cellule
prelevate dal cuore di un topo, sullo scheletro di alcuni microchip
di silicio. Hanno creato un nano robot capace di spostarsi da solo.
Più simile a una termite che a Terminator. nanorobot, lunghi
meno di un millimetro, sono ricoperti di cellule muscolari, alimentate
da una soluzione di zuccheri, che si contraggono ritmicamente spostando
minuscole gambe. In altre parole si muovono come se fossero vivi,
anzi sono vivi. «I dispositivi che abbiamo creato sono vivi
- sottolinea Montemago - le cellule crescono, si moltiplicano e
si assemblano formando così la struttura del dispositivo
stesso, senza nessun intervento esterno». Ma a cosa possono
servire tanti microscopici “esseri” meccanici viventi?
Benché sia tutto ancora in fase di sperimentazione si pensa
che potrebbero essere usati in alcuni dispositivi in miniatura,
come i generatori elettrici che alimentano i chip dei computer.
Gli scienziati californiani hanno anche creato un microrobot con
due minuscole zampe, simili a quelle di una rana, capaci di muoversi
e piegarsi grazie a delle giunture meccaniche, alimentate dalle
cellule e senza bisogno di alcuna alimentazione esterna.
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