Tutto
in un viaggio
di Eugenio Raimondo
direttore@mtmweb.it
Di liberarmi dai pensieri quotidiani,
cercando la libertà nel silenzio, nella solitudine, è
costante desiderio e ricerca nella mia vita. Quando ci riesco, in
quei pochi momenti, sono felice. Spesso sono in macchina, una giusta
melodia mi accompagna verso mete ormai non più lontane. In
queste rare occasioni in cui rimango con me stesso penso al mio
trascorso, a ciò che ho realizzato, alle gioie, ai tradimenti,
alle illusioni, agli amori. Mi vedo sui binari di una stazione del
Sud, a diciotto anni, in attesa del mio treno. Mio padre, i miei
fratelli tutti, ad incitarmi come se dovessi vincere una finale
di campionato. Mia madre intanto a casa ad accudire mia sorella
disabile. Lascio semplici sapori, tramonti ispiratori, piazze festose.
Mi ricordo quanto apprezzavo la conquista del necessario, dell’indispensabile.
Stretto tra la gente, mi ritrovo nel corridoio del treno. Un viaggiatore
seduto nello scompartimento si accinge ad una composizione culinaria.
Apre la sua borsa, prende un tovagliolo, lo stende sulle sue gambe.
E comincia un rituale. Si susseguono in ordine: una pagnotta, un
formaggio, una soppressata. Una sottile lama allenata per l’occasione
inizia ad affettare. “Volete favorire?”. Ancora me lo
ricordo bene. Si recava da suo figlio, al nord, a Torino. “Marco-
di cui ci ha parlato tanto, mentre riempiva il suo bicchiere di
vino rosso-lavora alla FIAT”. Una ragazza straniera seduta
sul suo zaino, davanti alla porta del bagno, legge un libro. Un
militare cerca di distoglierla per attaccare bottone. Nello scompartimento
accanto si ride accorati. Mi affaccio dal finestrino e respiro aria
di mare. Quel nostro mare della Calabria, unico sfogo per noi giovani
poveri. Già a dieci anni eravamo ottimi nuotatori, a quindici
concorrevamo alle feste dell’Unità: tre chilometri
di percorso. A diciassette ci tuffavamo dal pontile. Enzo era bravissimo.
La doppia capriola era la sua specialità. Rischiavamo di
frantumarci sugli scogli ma ne valeva la pena, per farci notare
da qualche ragazza. Certo non avevamo moto e automobili di lusso.
Quando uno di noi riusciva nella conquista gli “univamo”
gli spiccioli: quattro-cinquemila lire. Gli altri recuperavano l’asciugamano
e via lungo la spiaggia a caccia di altre prede. L’estate
era lunga. Iniziavamo a Maggio a fare i bagni. Li contavamo. Alla
fine chi ne aveva fatti cento, chi centocinquanta calcolando quelli
del pomeriggio. I soldi erano sempre pochi. A gruppi, una volta
a settimana facevamo i camerieri ai matrimoni. Orario flessibile:
dalle sei di mattina alle otto di sera (era il classico lavoro a
progetto: pulire la sala, apparecchiare, aiutare il cuoco, servire
e poi ancora ripulire e riapparecchiare per il giorno dopo). Il
compenso: la torta da portare a casa innanzitutto, la bomboniera,
una bustina di confetti e cioccolatini, 20 mila lire. Ma una cosa
non ci mancava: la voglia di sognare. Sognavamo la città,
nuove esperienze, l’università. Volevo esser medico,
andare in Africa ad aiutare i bambini. La nostra forza era il desiderio
di realizzare i nostri sogni e a ciò univamo grande passione.
Ma eravamo consci che ci attendevano grandi sacrifici tra cui la
rinuncia. Ma l’allenamento non ci mancava. In molti ci siamo
laureati, altri sono rimasti al paese. Sono solo nella mia macchina,
(BMW naturalmente, ora che posso) e penso a quegli amici, con quanti
di loro mi rivedo, di chi conservo affetto. Sono quei pochi con
cui non ho condiviso certamente piaceri, divertimento, futilità;
sono coloro con cui sognavo un ideale di fratellanza, di felicità
dei popoli, e con cui ascoltavo la musica. E già! Anche Aristotele
ci parla di tre tipi di amicizia: quella nobile in vista del bene,
e quelle meno nobili che sorgono invece in vista dell’utile
o del piacevole. “Coloro che amano a causa dell’utile
amano per via del bene che proviene a loro, e quelli che amano a
causa del piacere amano per via di ciò che di piacevole proviene
a loro e non in quanto la persona amata è quella che è,
bensì in quanto essa è utile o piacevole… simili
amicizie sono facilmente caduche, poiché le persone non restano
sempre uguali: se infatti esse non sono più piacevoli o utili,
cessano di essere in amicizia. L’amicizia perfetta è
quella dei buoni e dei simili nella virtù”. E’
proprio così. Bisogna essere virtuosi nella amicizia condividendone
il bene che se ne trae. Sono a Napoli. Mi fermo a fare benzina.
Qui il tempo sembra essersi fermato. Non mancano mai i venditori
di cassette, adesso CD, contraffatte. Ti si affiancano alla macchina
prima dell’uscita del casello. “ A dotto’ si sente
meglio dell’originale, è una musica che ti fa sognare”.
“Ne hai una che ti sveglia?”, gli chiedo sorridendo.
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