MTM n°13
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 4 - Numero 3 - set/dic 2005
Primo Piano
 


Dott. Eugenio Raimondo
Dott. Eugenio Raimondo
Direttore scientifico
e responsabile editoriale.


Anno 4 Numero 3
set/dic 2005

 

Dieta non più come sinonimo
di privazione alimentare,
bensì come mezzo per un recupero del proprio stato di salute



Speciale anoressia

Come ci si deve alimentare: dieta non come privazione ma come scelta qualitativa
di Eugenio Raimondo

L'alimentazione oltre che soddisfare il nostro gusto sempre più raffinato è ovviamente il mezzo per fornire substrati energetici e precursori biochimici per il nostro organismo. Si partecipa così al ricambio cellulare, allo sviluppo dei tessuti durante l’accrescimento, alla produzione di energia e così via. Esiste un fabbisogno qualitativo oltre che energetico. Pertanto nell’assunzione del cibo non bisogna soddisfare unicamente il piacere del gusto o la necessità di migliorare il fabbisogno energetico per esempio degli sportivi, ma è importante scegliere il nutrimento in modo che l’apporto qualitativo quotidiano sia rispettato. Da qui la proposta ormai accettata da tutti i clinici di ripartire percentualmente l’assunzione alimentare in base alle sue caratteristiche di apporto calorico:
10-15% di proteine, con rapporto proteine animali/ proteine vegetali >1
30 % di lipidi, con un rapporto lipidi animali/ lipidi vegetali > 2/5
55/60 % di glucidi [compreso un 4% massimo di calorie di origine alcolica], con un rapporto calorie di zuccheri semplici/calorie totali=1/10
1 ml d’acqua per caloria
Questa ripartizione calorica è considerata il primo gradino per una corretta alimentazione. Purtroppo oggi resta assai disattesa. Si mangia male, tanto, anzi troppo. In Italia vi è una percentuale assai elevata di soggetti in soprappeso ed obesi. Lo sviluppo economico, i mutamenti sociali, il passaggio da stili di vita rurali ad un ambiente urbano industrializzato hanno contribuito a favorire l’orientamento alimentare verso quelle categorie di cibi considerati rari e pregiati, determinando profondi cambiamenti rispetto alle tradizionali abitudini alimentari di un tempo. Si è visto in precedenza come questo fatto abbia facilitato l’accentuazione di tutta una serie di apparentemente piccole patologie, che però, a lungo termine, possono tradursi in vere e proprie malattie, con riduzione delle aspettative di vita. Il fatto che un costume alimentare inadeguato inducesse condizioni per lo più asintomatiche, ha portato il singolo individuo a sottovalutare le conseguenze di un mantenimento nel tempo di queste piccole alterazioni. È il concetto dei cosiddetti fattori di rischio: condizioni che di per sé non si traducono necessariamente in uno stato morboso, ma che potenzialmente lo possono indurre a lungo andare. Numerosi studi hanno messo in luce come una riduzione di questi fattori di rischio comportasse una parallela diminuzione della frequenza di certe patologie. Queste considerazioni hanno così indirizzato l’ambiente medico a suggerire dei principi che potessero funzionare da guida per un recupero di abitudini alimentari fondamentalmente più corrette, che permettessero, in prospettiva, una riduzione del rischio per la salute. Da qui la nascita di un nuovo concetto: dieta non più come sinonimo di privazione alimentare, bensì come mezzo per un recupero del proprio stato di salute. Dieta è un termine che deriva dal greco diaita, che significa “modo di vivere”. In medicina la parola dieta quindi ad indicare la quantità abituale di cibi e bevande ingerita giornalmente da una persona, in particolare uno schema alimentare pianificato per soddisfare le richieste e le esigenze personali e di salute dell’individuo, aggiungendo o escludendo alcuni tipi di cibi. Negli ultimi anni si sono avuti enormi progressi nel campo della scienza dell’alimentazione ed oggigiorno si conoscono, con molta più precisione che nel passato, la composizione chimica degli alimenti ed i meccanismi digestivi preposti a renderli utilizzabili dal nostro organismo. Scaturisce pertanto la considerazione che, pur a fronte di un costume alimentare generale inadeguato, si hanno le conoscenze scientifiche per impostare correttamente un approccio alimentare sano e completo.


La mia storia tra le dita
Il racconto vero di una ragazza anoressica
[pubblicato sul web]


«Mi presento: mi chiamo Alessandra, ho 24 anni e sono anoressica dichiarata dal 1997. Non so dire quando il mio calvario ha avuto inizio, forse sono nata malata; già, perché l’anoressia è uno stile di vita, è un’abitudine, un modo di pensare e vedere la realtà che ci circonda […].
Non mi sono mai piaciuta, di conseguenza non ho mai pensato di poter piacere a qualcuno. […].
Avevo 16 anni quando io e Francesca ci recammo in un locale a Brera e lì incontrai per la prima volta Matteo. Mi sembrava bellissimo e inavvicinabile: invece, con mio grande stupore, Matteo scelse me. Finalmente qualcuno mi voleva bene. Quando inizi ad uscire dall’adolescenza, tutti i dubbi minacciosi e angosciosi di prima diventano certezze. Piano piano mi accorsi di quanto il corpo riprendesse il sopravvento sulle mie prime emozioni, ricominciai ad avere paura, paura di perdere quelle “carezze” che non avevo mai osato chiedere. Iniziai a dimagrire naturalmente, iniziai a perdere quei chili che la fase dello sviluppo aveva comportato; mi sentivo felice, soddisfatta. La mia storia con Matteo è durata due anni, fino al giorno in cui sono arrivata all’università e mi sono scontrata con un mondo nuovo che mi attraeva tanto e mi entusiasmava. Dovevo conquistare quella bellissima dimensione; e quale migliore chiave di accesso avevo se non la mia immagine? In una delle tante giornate passate al bar ho conosciuto Mattia. Fummo amici inseparabili in poche ore, i miei occhi brillavano al suo arrivo e tra una frase e una battuta ci siamo ritrovati davanti a Buscami: era il 30 ottobre del 1995, un bacio che mi ha fatto toccare il cielo con un dito. In breve tempo avevo trovato il motivo più importante per vivere: ma avevo paura. La mia insicurezza, da me sempre celata, la mia fragilità, il terrore di non essere alla sua altezza, il terrore di perderlo mi spinsero a prendere la decisione: «Da oggi mi impegnerò a curarmi, mi impegnerò per essere perfetta, perché il suo essere vivo è il mio essere viva». Che cosa era per me la perfezione? Era la mia Barbie. Iniziai a percepirmi gonfia, nonostante il mio peso non fosse poi così elevato, tutt’altro; iniziai a vedere riflessa nello specchio un’Alessandra enorme; sentivo che il grasso sprizzava fuori dalla mia pelle. Lo specchio era diventato il mio giudice, il mio rapporto con il cibo diventava sempre più assurdo, però più dimagrivo più mi sentivo forte, invincibile. Persi il contatto con la realtà, mi disprezzavo perché non ero capace di apprezzare nulla, mi sentivo sempre più sola, travolta da un vortice incontrollabile. Le pareti del mio cuore si stavano stringendo, il mio unico nemico era il cibo. Ero un automa che camminava su binari prefissati, ero in trappola, chiusa dalle sbarre della mia gabbia dorata; stavo morendo non solo fisicamente, stavo morendo dentro. Solo allora decisi di dare una svolta alla mia vita e di provare a cambiare strada. Era il luglio 1999: da allora lotto ogni giorno con successi e pene per sconfiggere il nulla che avvolge l’immagine…»