Speciale anoressia
Come ci si
deve alimentare: dieta non come privazione ma come scelta qualitativa
di Eugenio Raimondo
L'alimentazione
oltre che soddisfare il nostro gusto sempre più raffinato
è ovviamente il mezzo per fornire substrati energetici e
precursori biochimici per il nostro organismo. Si partecipa così
al ricambio cellulare, allo sviluppo dei tessuti durante l’accrescimento,
alla produzione di energia e così via. Esiste un fabbisogno
qualitativo oltre che energetico. Pertanto nell’assunzione
del cibo non bisogna soddisfare unicamente il piacere del gusto
o la necessità di migliorare il fabbisogno energetico per
esempio degli sportivi, ma è importante scegliere il nutrimento
in modo che l’apporto qualitativo quotidiano sia rispettato.
Da qui la proposta ormai accettata da tutti i clinici di ripartire
percentualmente l’assunzione alimentare in base alle sue caratteristiche
di apporto calorico:
10-15% di proteine, con rapporto proteine animali/ proteine vegetali
>1
30 % di lipidi, con un rapporto lipidi animali/ lipidi vegetali
> 2/5
55/60 % di glucidi [compreso un 4% massimo di calorie di origine
alcolica], con un rapporto calorie di zuccheri semplici/calorie
totali=1/10
1 ml d’acqua per caloria
Questa ripartizione calorica è considerata il primo gradino
per una corretta alimentazione. Purtroppo oggi resta assai disattesa.
Si mangia male, tanto, anzi troppo. In Italia vi è una percentuale
assai elevata di soggetti in soprappeso ed obesi. Lo sviluppo economico,
i mutamenti sociali, il passaggio da stili di vita rurali ad un
ambiente urbano industrializzato hanno contribuito a favorire l’orientamento
alimentare verso quelle categorie di cibi considerati rari e pregiati,
determinando profondi cambiamenti rispetto alle tradizionali abitudini
alimentari di un tempo. Si è visto in precedenza come questo
fatto abbia facilitato l’accentuazione di tutta una serie
di apparentemente piccole patologie, che però, a lungo termine,
possono tradursi in vere e proprie malattie, con riduzione delle
aspettative di vita. Il fatto che un costume alimentare inadeguato
inducesse condizioni per lo più asintomatiche, ha portato
il singolo individuo a sottovalutare le conseguenze di un mantenimento
nel tempo di queste piccole alterazioni. È il concetto dei
cosiddetti fattori di rischio: condizioni che di per sé non
si traducono necessariamente in uno stato morboso, ma che potenzialmente
lo possono indurre a lungo andare. Numerosi studi hanno messo in
luce come una riduzione di questi fattori di rischio comportasse
una parallela diminuzione della frequenza di certe patologie. Queste
considerazioni hanno così indirizzato l’ambiente medico
a suggerire dei principi che potessero funzionare da guida per un
recupero di abitudini alimentari fondamentalmente più corrette,
che permettessero, in prospettiva, una riduzione del rischio per
la salute. Da qui la nascita di un nuovo concetto: dieta non più
come sinonimo di privazione alimentare, bensì come mezzo
per un recupero del proprio stato di salute. Dieta è un termine
che deriva dal greco diaita, che significa “modo di vivere”.
In medicina la parola dieta quindi ad indicare la quantità
abituale di cibi e bevande ingerita giornalmente da una persona,
in particolare uno schema alimentare pianificato per soddisfare
le richieste e le esigenze personali e di salute dell’individuo,
aggiungendo o escludendo alcuni tipi di cibi. Negli ultimi anni
si sono avuti enormi progressi nel campo della scienza dell’alimentazione
ed oggigiorno si conoscono, con molta più precisione che
nel passato, la composizione chimica degli alimenti ed i meccanismi
digestivi preposti a renderli utilizzabili dal nostro organismo.
Scaturisce pertanto la considerazione che, pur a fronte di un costume
alimentare generale inadeguato, si hanno le conoscenze scientifiche
per impostare correttamente un approccio alimentare sano e completo.
La
mia storia tra le dita
Il racconto vero di una ragazza anoressica
[pubblicato sul web]
«Mi presento: mi chiamo Alessandra, ho 24 anni e sono anoressica
dichiarata dal 1997. Non so dire quando il mio calvario ha avuto
inizio, forse sono nata malata; già, perché l’anoressia
è uno stile di vita, è un’abitudine, un modo
di pensare e vedere la realtà che ci circonda […].
Non mi sono mai piaciuta, di conseguenza non ho mai pensato di poter
piacere a qualcuno. […].
Avevo 16 anni quando io e Francesca ci recammo in un locale a Brera
e lì incontrai per la prima volta Matteo. Mi sembrava bellissimo
e inavvicinabile: invece, con mio grande stupore, Matteo scelse
me. Finalmente qualcuno mi voleva bene. Quando inizi ad uscire dall’adolescenza,
tutti i dubbi minacciosi e angosciosi di prima diventano certezze.
Piano piano mi accorsi di quanto il corpo riprendesse il sopravvento
sulle mie prime emozioni, ricominciai ad avere paura, paura di perdere
quelle “carezze” che non avevo mai osato chiedere. Iniziai
a dimagrire naturalmente, iniziai a perdere quei chili che la fase
dello sviluppo aveva comportato; mi sentivo felice, soddisfatta.
La mia storia con Matteo è durata due anni, fino al giorno
in cui sono arrivata all’università e mi sono scontrata
con un mondo nuovo che mi attraeva tanto e mi entusiasmava. Dovevo
conquistare quella bellissima dimensione; e quale migliore chiave
di accesso avevo se non la mia immagine? In una delle tante giornate
passate al bar ho conosciuto Mattia. Fummo amici inseparabili in
poche ore, i miei occhi brillavano al suo arrivo e tra una frase
e una battuta ci siamo ritrovati davanti a Buscami: era il 30 ottobre
del 1995, un bacio che mi ha fatto toccare il cielo con un dito.
In breve tempo avevo trovato il motivo più importante per
vivere: ma avevo paura. La mia insicurezza, da me sempre celata,
la mia fragilità, il terrore di non essere alla sua altezza,
il terrore di perderlo mi spinsero a prendere la decisione: «Da
oggi mi impegnerò a curarmi, mi impegnerò per essere
perfetta, perché il suo essere vivo è il mio essere
viva». Che cosa era per me la perfezione? Era la mia Barbie.
Iniziai a percepirmi gonfia, nonostante il mio peso non fosse poi
così elevato, tutt’altro; iniziai a vedere riflessa
nello specchio un’Alessandra enorme; sentivo che il grasso
sprizzava fuori dalla mia pelle. Lo specchio era diventato il mio
giudice, il mio rapporto con il cibo diventava sempre più
assurdo, però più dimagrivo più mi sentivo
forte, invincibile. Persi il contatto con la realtà, mi disprezzavo
perché non ero capace di apprezzare nulla, mi sentivo sempre
più sola, travolta da un vortice incontrollabile. Le pareti
del mio cuore si stavano stringendo, il mio unico nemico era il
cibo. Ero un automa che camminava su binari prefissati, ero in trappola,
chiusa dalle sbarre della mia gabbia dorata; stavo morendo non solo
fisicamente, stavo morendo dentro. Solo allora decisi di dare una
svolta alla mia vita e di provare a cambiare strada. Era il luglio
1999: da allora lotto ogni giorno con successi e pene per sconfiggere
il nulla che avvolge l’immagine…» |