MTM n°16
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 6 - Numero 1 - dic/mar 2007
Scienza e filosofia
 


Francesco Sisinni
Francesco Sisinni

Anno 6 - Numero 1
dic/mar 2007

 

Platone distingueva nell’uomo l’anima razionale, vera luce e vera guida, dalle altre due, la irascibile e la concupiscibile l’ultima delle quali è cecità assoluta

Nello spirito della tradizione galileiana, la filosofia della scienza ci ha dimostrato che un principio di fisica, di chimica, di matematica non è una verità assoluta




Le due culture
Scienza e Filosofia sottintendono proprio due tesi irriducibili alla sintesi, due culture non possibili di integrazione?
di Francesco Sisinni

Ha collaborato con Giovanni Spadolini nella formazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, di cui è stato Direttore Generale per circa vent'anni. Autore di numerose e apprezzate pubblicazioni di Filosofia, Storia dell'arte e Letteratura, è socio di varie Accademie nazionali ed internazionali. È Direttore del Master in Studi storico-artistici nella Università degli Studi LUMSA di Roma. È stato insignito dell'Onorificienza di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana

disegno di Leonardo da VinciÈ certamente innegabile che un dissidio profondo ha per troppo tempo diviso gli scienziati dai filosofi, i tecnici dai teorici, gli epistemologi dagli speculativi puri. E questo iato, certo innaturale, che tuttora, se pure in misura men grave e più limitata, si deve lamentare tra discipline umanistiche e discipline scientifiche, è un fatto che trascende lo stesso mondo delle due culture, in quanto investe tutta la realtà sociale, dal suo nascere alla civiltà, al suo affannoso crescere nella storia delle genti.
In effetti la ragione storica di tanto dissidio è da identificarsi, alla base, nell’infausto divorzio tra cultura e lavoro; o meglio, nella difettosa interpretazione dei valori della cultura e, di contro, nell’assoluta negazione dei valori del lavoro.
Come noto, Platone distingueva nell’uomo l’anima razionale, vera luce e vera guida, dalle altre due, la irascibile e la concupiscibile, l’ultima delle quali è -cavallo nero- cecità pressoché assoluta e perciò forza solo strumentale; lo stesso Platone costruì coerentemente a tale metafisica, un ordinamento etico, politico e sociale ove i filosofi sono la mente che ragiona e perciò governa, i guerrieri il coraggio che lotta e perciò difende e gli operai la forza che produce, nella misura in cui si lascia guidare.
«L’operaio è utile -si legge nel Gorgia- ma tu disprezzerai lui e la sua arte e per offesa lo chiamerai banàusos». Da allora in poi l’aristocrazia del pensiero ha sdegnato l’operatività pratica così come l’aristocrazia sociale ha respinto la manualità del lavoro ed il suo artefice diretto, il popolo.
Eppure la determinante rilevanza che la categoria concettuale di lavoro è venuta progressivamente ad assumere nella dialettica del pensiero e nel farsi della Storia, ha dimostrato e dimostra come lo svolgimento positivo delle civiltà altro non sia che la evoluzione, ossia il riconoscimento e il riscatto nel tempo, dei valori insiti nell’attività operativa. Varrebbe a questo punto la pena di fermarci a meditare un poco sul contenuto e sulla storia del lavoro, nel contenuto e nella storia della società e delle culture. Il lavoro, che nasce al mondo con l’uomo, essendo di questi il destino e facendo di questi la storia, dalla originaria funzione di conquista e dominio della natura è passato all’iniqua concezione schiavistica delle prime civiltà.
Di lì ha esso iniziato la faticosa parabola che attraverso le culture orientali e mediorientali , e poi degli elleni e dei romani, giunge al cristianesimo che, riscattando lo schiavo, porta, finalmente, il lavoro alla dignità di mezzo di elevazione etica e sociale dell’umanità decaduta.
Si sa, tuttavia, che già sul finire del XVII secolo, mentre la cultura ufficiale si snaturava in una vanità autoreferenziale fine a se stessa, la vita, con le sue istanze di progresso, incominciava ad urgere fuori di quelle stesse torri d’avorio, in cui i dotti si ostinavano ad isolare i beni ereditati. Infatti, la scienza del concreto, nata nelle aule del lavoro, iniziava a dare al mondo i frutti portentosi delle silenziose quanto suggestive ricerche. Iniziava l’era di Copernico e di Galilei.
Ma con l’avvento delle prime straordinarie affermazioni scientifiche aveva anche inizio, però, quel grave dibattito o dissidio tra lo scienziato e il filosofo, destinato a durare fino ai giorni nostri. La filosofia, come scienza generale, può pretendere di subordinare a sé le scienze particolari, o possono queste ultime rivendicare una propria autonomia, respingendo qualsiasi relazione tra di esse? Non vi è dubbio che la filosofia abbia esercitato un’influenza determinante sulla fondazione e sullo sviluppo delle scienze; e ciò sia per l’impostazione rigorosa della ricerca, condotta in modo non più empirico -come poteva avvenire nel campo della tecnica- ma propriamente liberale, per usare una espressione di Proco, sia per la fondazione di sistemi universalistici, sulla base delle ardite concezioni del cosmo. È tuttavia vero come non si può comunque ammettere questa influenza in senso assoluto -posto che non si può prescindere dalle suggestioni e dai suggerimenti, sia pure metodologici, derivati alla filosofia delle scienze- così non si può sostenere la subordinazione delle scienze particolari alla filosofia, soprattutto nella pretesa di estendere alle prime interpretazioni e, peggio ancora, determinazioni aprioristiche, ovvero metafisiche. Tanto è valso, comunque, a far parlare addirittura di due verità, la verità scientifica e la verità filosofica, ed a dare adito ad una polemica certamente infeconda tra gli uomini ed i fautori delle cosiddette due culture, ansiosi, ciascun per suo conto, di stabilire inutili primati, ora in nome di una tradizione gloriosa, ora in funzione o in virtù di un miracoloso presente, gravido di futuro, ed ora più spesso, invece, solo all’insegna di miti dogmatici. Ben a ragione, anni addietro, il Timpanaro, doveva rammaricarsi di tanto dissidio e di come la scienza non fosse, invece, riuscita a fondersi con la cultura umanistica, diventandone un elemento essenziale e perciò vitale, sì da impedire, finalmente, che proprio tale cultura rimanesse prevalentemente e ostinatamente filosofico-letteraria.
disegno di Leonardo da VinciMa molto prima del Timpanaro, i più accorti pensatori, filosofi e scienziati, primo tra tutti Leonardo, filosofo naturale, come lo dissero i contemporanei, «omo sanza lettere» come amò definirsi egli stesso, avevano avvertito l’esigenza di una ricerca comune dell’unica verità dell’uomo.
Ai giorni nostri opere di insigni pensatori significano la tensione costante verso tale unificazione e sintesi. In ambienti diversi per superare il dualismo fra scienza e umanesimo, fra lavoro e cultura, ora considerando la natura alla maniera idealistica, ora riducendo la filosofia alla scienza, in senso positivistico, ora invece inventando una nuova metafisica, la metafisica della tecnica, come pare l’intenda Emanuele Severino, a noi pare che la soluzione a tanto problema possa essere esperita solo tornando all’uomo, alla sua realtà, al suo mondo. E innanzi a coloro che temono di far ricorso al Pensiero, perché ancora troppo condizionati dalla vieta identificazione di pensiero-ragione, o pensiero-idea pura, noi vorremmo ricondurre tutto il processo umano proprio al Pensiero, inteso quale presenzialità ed essenzialità dell’uomo, non solo nelle sue costruzioni speculative, bensì, anche, nelle sue operazioni concrete.
È il pensiero che riconoscendosi nell’essere e nel divenire, opera il superamento della tesi e dell’antitesi, in quella più vasta categoria o forma, che, per essere sintesi, non esclude, ma comprende gli opposti, i quali, anzi, in essa completantisi, si vitalizzano. Sicché, se la esperienza e la gnoseologia scientifica forniscono sempre nuovi contenuti alla filosofia speculativa, è quest’ultima che, indagando, quei contenuti incessantemente svolge e trasforma.
Il dato empirico, il fenomeno e la sua legge si fanno concetto, acquisizione storica e attività teoretica, e questi, nuovamente, si traducono in fatto, in operazione, in attività pratica. Più semplicemente e fortemente ripeteremo allora con Vico: «Verum et Factum convertuntur»!
Un’antica sentenza, attribuita ad Aristotele e che si sente ancora fare il giro dei circoli d’ispirazione positivistica, se non sensistica alla Condillac, ripete: «Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu». Orbene, basterebbe tener conto della sorte avuta, e sarebbe più esatto dire dell’evoluzione seguita, da siffatta sentenza, per comprendere in che direzione si è mossa la cultura vera, nell’interpretazione e chiarificazione di se stessa. Infatti, se già nel criticismo, quel sensu fu inteso, non come sensazione in senso stretto, biologico, bensì, piuttosto, come sentimento ed esperienza, quando giunse ad Hegel divenne momento del tutto e la formula, completatasi anche nell’accezione, venne ad esprimere, finalmente e felicemente, l’intero processo, così ponendo: «Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu et nihil est in sensu quod non fuerit in intellectu». Or noi potremmo esser già paghi di tanto. Senonchè Hegel intendendo siffatta formulazione, secondo le sue stesse parole, «nel senso del tutto universale, che lo Spirito è la causa del mondo» e «nel senso più limitato, che il sentimento giuridico, etico, religioso è un sentimento e quindi un’esperienza di tale contenuto, che ha la sua radice e la sua sede solamente nel pensiero», divinizzò tanto detto pensiero, che tolse ad esso quanto lo fa in effetti storicamente umano. A noi sembra dunque che l’intuizione hegeliana esprima chiaramente ed ontologicamente nell’intrinsecità, la realtà vitale di tale processo, o osmosi, ma che essa, al di là anche delle interpretazioni degli epigoni, dallo Spaventa al Croce, debba intendersi in senso fenomenologico o esistenziale o, più semplicemente, umano.
Nello spirito della migliore tradizione galileiana, la filosofia della scienza ci ha dimostrato che un principio di fisica, di chimica, di matematica non è una verità assoluta e che non esiste un experimentum crucis una istanza cruciale -come avrebbe detto Bacone- per provare la sussistenza in esso di un valore eterno. Lo stesso progresso delle scienze dimostra -contrariamente a quanto si credeva ed affermava nell’esaltante e romantico clima del positivismo- che le leggi scientifiche non hanno validità universale, in senso di immutabilità assoluta. Ed è chiaro che se il progresso è dinamica, esso esclude dal suo ambito e dal suo essere tutto ciò che è statico. D’altra parte tanto si fa evidente proprio nella filosofia delle scienze di Bernardo Russel, in cui quella verità o certezza infallibile che il filosofo attribuisce alla logica matematica si trova, poi, in contrasto col carattere convenzionale che lo stesso non può non riconoscere ai fondamenti di essa. Il mondo cammina perché l’uomo diviene. Ora è che questo divenire non smentisce affatto, ma anzi conferma, se pur drammaticamente, l’essere; e noi siamo e, divenendo, viviamo un paradosso perenne; e ciò finchè Eraclito e Parmenide avranno entrambi ragione.