Cevello e ipnosi La ricerca svolta mediante le tecniche di neuroimmagine ha aperto la strada a nuove conoscenze sullo stato ipnotico, sul significato di molti fenomeni della trance, sui motivi dell’efficacia terapeutica dell’ipnosi
del Dott. Costantino Casilli
L’interesse per l’utilizzazione dell’ipnosi come
strumento nella ricerca in neuropsicologia
cognitiva sta crescendo rapidamente.
Molte riviste di prestigio pubblicano continuamente
articoli in cui l’ipnosi è oggetto di
studio o in cui è strumento per studiare il
nostro cervello [ad esempio: Lancet, NeuroImagine,
Journal of Cognitive Neuroscience,
Biological Psichiatry, Annals of
Neurology, oltre ovviamente all’International
Journal of Clinical and Experimental
Hypnosis]. Grazie a queste ricerche le nostre
conoscenze su come risponde il cervello
quando viene indotta una modificazione
momentanea e funzionale dello stato di coscienza
[la trance ipnotica] e soprattutto su
cosa accade nel cervello quando vengono
studiati i fenomeni che caratterizzano lo
stato ipnotico, come ad esempio le allucinazioni
uditive, la percezione del dolore, il
controllo motorio volontario o la catalessia.
Queste ricerche utilizzano alcuni sofisticati
strumenti che permettono di “visualizzare”
l’attività del cervello di una persona viva:
la PET [tomografia ad emissione di positroni],
il CBF [flusso ematico regionale del
cervello], e la fMRI [la risonanza magnetica
funzionale].
Dietro [l’ennesima] rinascita dell’ipnosi come
strumento e come oggetto di studio, oltre
che come tecnica e modello di psicoterapia,
c’è indubbiamente il fatto che l’ipnosi
è un terreno di studio molto affascinante,
complesso ma anche pieno di insidie
e controverso.
Ad esempio: consideriamo il termine “ipnosi” intendendolo come
“l’essere in ipnosi”, “essere
in trance”, “essere ipnotizzato”.
“Essere in un certo
stato” dà l’idea che ci sia un
sostanziale cambiamento
nel funzionamento psicologico
globale della persona, per cui la ricerca
per molti anni si è concentrata sul capire
quali fossero i parametri, i segni, le caratteristiche
di un soggetto ipnotizzato per
poter tracciare con chiarezza il confine tra
“essere in trance” e “non essere in trance”.
Ovviamente il primo e fondamentale tentativo
è stato fatto con l’EEG, nella speranza
che il tracciato elettroencefalografico del
soggetto ipnotico fosse significativamente
diverso dalla persona sveglia, in stato di veglia,
non ipnotizzata. Ora: visto che continuiamo
ad usare il termine ipnosi [coniato
dal medico inglese Braid per sancire la rottura
con il “magnetismo animale” di Mesmer]
e visto quello che il termine evoca [il
sonno] è ovvio che la speranza sia stata
quella di trovare un tracciato EEG simile a
quello di una persona che dorme. E invece
no: il soggetto ipnotico è sveglio. Ed è sveglio
sia quando viene posto sul classico lettino
o poltrona e sia quando è posto su una
cyclette [in questo caso si parla di ipnosi allerta-
vigile]; è sveglio quando l’ipnosi viene
indotta da un ipnotista ma anche quando si
verifica spontaneamente [le comuni trance
ipnotiche quotidiane]; il soggetto è sveglio
sia quando va in trance grazie alla lettura di un buon libro o all’ascolto della musica, sia
quando è assorto in una conversazione o in
un compito, e sia quando deve affrontare
una prestazione [ad esempio: la trance agonistica
degli sportivi]. Certo è però che durante la trance si verifica
una modificazione del sistema frontale
di controllo della coscienza [attivazione del
sistema fronto-limbico anteriore], c’è una
prevalenza delle abilità cognitive proprie
dell’emisfero destro [valutata mediante
EEG con analisi di frequenza, flusso ematico
regionale, potenziali event-related], c’è
una attivazione emozionale e una maggiore
capacità di produzione immaginativa
[l’induzione ipnotica modifica l’equilibrio
amigdala-ippocampo], si assiste ad una
dis-associazione delle strutture emozionali
e della memoria. Ovviamente se il soggetto
è posto in una posizione rilassante e la
verbalizzazione dell’induzione insiste sulle
idee di calma, sonno e tranquillità si verifica
un aumento del tono parasimpatico.
Quindi l’ipnosi, lungi dall’essere una condizione
sovrapponibile a quella del sonno
naturale, ha ricadute terapeutiche non indifferenti:
permette di modulare le emozioni,
integrando memoria e apprendimento;
attiva nuove vie neuropeptidiche
[endorfine, encefaline, colecistochinina];
inibisce la liberazione degli ormoni surrenalici
dello stress.
In questo senso l’ipnosi clinica e sperimentale
dovrebbe rientrare nel campo delle
conoscenze del medico e dello psicologo
soprattutto se si interessano del funzionamento
normale e patologico del cervello. Il
ponte di comprensione che “avvicina” il genio
e il folle è più facilmente percorribile se
si conoscono i modi con cui le fantasie e le
allucinazioni vengono costruite in modo
adattivo oppure disadattivo. Il linguaggio
del corpo, tipico di molte patologie psichiche
[sessuali, psicosomatiche, …], è più facilmente
comprensibile quando se ne conoscono
i codici. Ma anche comportamenti
normali, ad esempio quelli quotidiani
[quando non vediamo o non sentiamo uno
stimolo che invece è evidente per gli altri]
oltre a quelli che tipicamente mettiamo in
atto negli scambi affettivi, di accudimento,
di aggressività, di seduzione, di collaborazione,…
li comprenderemo meglio studiando
l’ipnosi.
PER SAPERNE DI PIÙ
Lo sviluppo delle moderne tecniche di neuroimmagine funzionale è stato essenziale anche
per chi si interessa di ipnosi. La speranza è quella di descrivere il funzionamento del
cervello in una persona a cui è stata somministrata una procedura di induzione ipnotica
[ad esempio: quale è il ruolo della corteccia cingolata anteriore] e di descrivere le
differenze tra le persone altamente suggestionabili da quelle poco ipnotizzabili.
Queste scoperte aiuteranno anche nella pratica clinica a fare luce sui motivi specifici
e peculiari dell’efficacia dell’ipnosi in campo psicoterapeutico o, ad esempio, nella
lotta al dolore. Tuttavia il tema della ricerca [cos’è l’ipnosi, come cambia il funzionamento
della persona ipnotizzata, perché la trance si dimostra efficace in terapia,
…] resta ancora molto poco conosciuto.
Peraltro senza questa ricerca noi ipnotisti resteremmo ancorati all’osservazione “dall’esterno”
dei fenomeni prodotti dai soggetti ipnotici o al racconto fatto dai soggetti
dopo che si sono sottoposti ad una procedura di induzione. L’osservazione e il resoconto
soggettivo sono e restano importanti ma hanno alcuni limiti. Ad esempio
noi ipnotisti diciamo che il soggetto è in trance, che è in stato ipnotico, utilizzando
criteri clinici di osservazione, piuttosto che indici oggettivi che possano comprovare
l’effettivo stato in cui si trova la persona ipnotizzata che, se brava a similare, potrebbe
tranquillamente fare finta di essere in trance.
Peraltro anche un soggetto in trance sonnambulica [che, a differenza di quella stuporosa
in cui il soggetto è tipicamente immobile e con gli occhi chiusi, si caratterizza
per il fatto che il soggetto pare sveglio] è molto difficile da individuare. D’altra parte
anche il racconto sull’esperienza ipnotica è sottoposto a numerose fonti di deformazione,
prova ne sia che alcuni soggetti che vanno in trance profonda e mostrano
vari fenomeni tipici dell’ipnosi possono dire, dopo essersi riorientati [il riorientamento
è la fase in cui l’ipnosi “finisce”], che non sono affatto andati in trance perché
“hanno sentito tutto quello che ha detto l’ipnotista e ricordano tutto quello che
è accaduto”.
È quindi dallo studio congiunto psicologico e neuropsicologico, dall’osservazione del
comportamento e dalle immagini del cervello, che ci si aspetta la svolta per comprendere
la coscienza [e le sue opere], cosa accade ai due attori di una relazione
significativa, a cosa serva la trance ipnotica e perché è stata utile [e lo è tuttora] da
un punto di vista evolutivo.
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