MTM n°20
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 7 - Numero 2 - mag/ago 2008
Medicina generale
 


Cesare Felici
Cesare Felici
Dirigente Medico Anestesista 1° livello presso Az.Osp.S.Giovanni Addolorata di Roma


Anno 7 - Numero 2
mag/ago 2008

 

Il dolore è un’esperienza necessaria ed è necessario abbracciarlo come una madre culla il suo piccolo ammalato. Paradossalmente può essere salvifico fino ad un impulso di rinascita, solo allora il lavoro potrà essere gioioso e creativo




Anestesia e crescita personale
Il lavoro di anestesista può essere strumento di evoluzione personale e di felicità?

di Cesare Felici
indirizzo email: cesarefelici@libero.it
blog: http://anesteticamente.blogspot.com/

Nelle attività ad impronta sanitaria ed assistenziale c’è un apparente ostacolo: il quotidiano contatto con la sofferenza, la malattia, con l’idea e l’esperienza della morte. Le traiettorie faticose della mente lottano incessantemente contro una forza benefica che prova a placarle, a trovare un barlume di leggerezza, di vuoto. Ma il vuoto è l’inizio e la fine, la leggerezza è la conquista di un percorso, è la pacificazione con la nostra esistenza.
Il dolore, nel nostro lavoro, è reale e ci dà un’identità. Il dolore è un’esperienza necessaria ed è necessario abbracciarlo come una madre culla il suo piccolo ammalato. Paradossalmente può essere salvifico fino ad un impulso di rinascita, solo allora il lavoro potrà essere gioioso e creativo, accompagnato dal piacere di dare sollievo ed a volte guarigione.
Come api operaie della sala operatoria, c’è la fatica di ore ed ore trascorse passando di fiore in fiore, di paziente in paziente, fino alla quiete di fine seduta, quando la strumentista ripone i ferri chirurgici e quei rumori metallici e di acqua che scorre purificatrice, mi riporta dalla nonna che lavava posate e pentole dopo il pasto domenicale. A quest’ora siamo tutti molto stanchi e siamo consapevoli che il nemico è stato solo respinto.
Purtroppo il modello di esistenza che vige pone la salute alla stregua di un bene di consumo, come un prodotto che segue le leggi e le filosofie del marketing. Si è fatto largo nella mente delle persone che se ci si ammala, basta trovare il medico giusto ed ogni problema potrà e dovrà essere risolto. C’è l’illusione che l’egemonia della tecnocrazia potrà risolvere gli antichi dilemmi dell’umanità, e trovare l’elisir di lunga vita. Questa ricerca di salute non è una ricerca di “sanitudine”, cioè di una attitudine all’essere sani cioè interi.
I modelli ed i valori proposti, anzi, imposti, sono insani, lavorano nella direzione della nostra divisione.
Corpo ed interiorità sono l’uno ipersollecitato, l’altra ignorata, spesso denigrata.
Questo ti spacca, ti amputa, ti ammala.
In questo scenario l’anestesista rischia di diventare un meccanico specializzato, addestrato e formato alla risoluzione di quesiti tecnici.
I ritmi di lavoro delle sale operatorie assomigliano sempre di più a quelli di una catena di montaggio; non c’è spazio per un attimo di riflessione e di relazione empatica con il paziente dal quale spesso si è percepiti come una figura minacciosa. È facile perdere il senso di tanto indaffararsi e c’è il sospetto che tanta apparente ricerca di efficientismo, di quantità, asserva esclusivamente logiche di tipo commerciale, di produttività, di carriere, di potere.
Tranne rari casi di personalissima attitudine, la perdita del sacro è assoluta.
Dalla logistica all’organizzazione, l’essere curante e curato sono totalmente amputati dal proprio sé mistico e trascendente. È stupefacente come l’interazione, nella cura, sia regolata, dal sistema, attraverso parametri e richieste simili a quelle esistenti tra un operaio ed una lavatrice da aggiustare. Intanto tutto il mondo simbolico continua a fare il suo lavoro ed in questo contesto il risultato è che l’essere che chiede aiuto si trova solo e perduto e l’essere che dovrebbe darlo si percepisce come un freddo e metallico erogatore automatico.
Prego signori, introdurre una moneta, spingere il tasto dell’anestesia desiderata e prelevare. Speriamo che domani vengano a ricaricarmi.