MTM n°25
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 9 - Numero 1 - gen/apr 2010
Cultura
 


Ilario Santostefano
Ilario Santostefano

Anno 9 - Numero 1
gen/apr 2010

 

I filosofi si sono accorti nella loro esperienza speculativa che esiste qualcosa che regge, come le fondamenta di una casa, sia il linguaggio umano che la realtà. Il lògos è ciò che sta al di sotto del linguaggio e della realtà




PERCHÉ LA FILOSOFIA
La verità non è ciò che si cerca ma ciò che si trova

di Ilario Santostefano

LA FILOSOFIASCIENZA UNICA, a sé stante.
Non può trovare relazioni, se non di tangenza, occasionali, con ogni altra forma del pensare umano: le scienze fisiche e naturali, le scienze della psiche, le arti, le religioni, le scienze politiche economiche e sociali,o altre forme di rappresentazione della realtà, non riescono a delimitare il suo ambito di indagine. L’oggetto della filosofia si trova sempre al di là di esse, non è determinabile con precisione da alcun sapere tecnico, tecnologico o scientifico, da alcun sapere umanistico in senso lato, da alcun sapere religioso o mitologico anche se tutti questi tipi di sapere ne sono impregnati e non ne possono fare a meno. La filosofia nacque in Grecia fra il VII e il VI sec. a.C. Precisamente nelle colonie ioniche dell’Asia mediorientale. Il sapere dell’uomo a quel tempo era costituito da miti, religioni, arti, scienze [anche se strutturalmente differenti da quelle attuali].
La realtà del mondo e dell’uomo era vista con occhi inconsapevoli, distratti, la tradizione sapienziale funzionava da schermo attraverso cui si lasciava filtrare solo ciò che dalla realtà vissuta veniva colto. La base su cui le argomentazioni, di qualsiasi specie, si disponevano era un misto di razionalità, immaginazione, credenze, sensazioni, moti oscuri dell’animo umano, emozioni, sensibilità; insomma, un calderone in cui tutto veniva mescolato senza un senso ben preciso.
Tutto ciò su cui da sempre l’uomo si affaticava: gli dei, l’anima, il mondo, la condizione umana, l’origine del tutto erano un po’ come una grande nebulosa nella quale non si distinguevano precisamente le parti. Il pensiero era sovraordinato rispetto a se stesso come quando si accetta qualcosa che preesiste alla riflessione per mancanza di riflessione. Tutto era sovraordinato: l’uomo e la sua esistenza nel mondo, l’universo, il senso religioso, l’abilità tecnico-scientifica, lo spirito teoretico. Non c’era distinzione di piani, di livelli, tutto si teneva al tutto. Certo la realtà poteva benissimo essere rappresentata e vissuta all’interno di quel tutto, ma non distinta, non coglibile con determinazione. Come si sa il termine filosofia letteralmente significa amore di sapienza, ma in che cosa consiste precisamente tale impulso verso la conoscenza? E di che tipo di conoscenza si tratta? Si possono distinguere tre caratteri dell’argomentare filosofico. Il primo carattere è dato dal contenuto, dall’oggetto proprio della filosofia: la totalità delle cose. Si potrebbe, a questo punto, supporre una ricaduta nel Tutto prefilosofico, ma non è così. Il Tutto prefilosofico era indistinto, sovraordinato, condizionato da vari piani che si intrecciavano e si sovrapponevano. Il Tutto filosofico, invece, è un ordine, una distinzione di piani, è colto da una riflessione che non si lascia sovra ordinare miticamente, non è condizionato da una simbologia esoterica a cui si può far dire tutto e il contrario di tutto. Introducendo questa distinzione la filosofia si sceglie il proprio oggetto di studio: la realtà nella sua totalità è distinta strutturalmente dalla realtà indagata dalle scienze particolari, dalle religioni o dai miti. Il filosofo si sgancia da ogni sovra ordinazione culturale preesistente e si misura in modo autonomo con la realtà che ha di fronte. Tutte le scienze particolari si limitano a spiegare determinati settori della realtà, la filosofia no. La filosofia pretende di cogliere il principio di tutta quanta la realtà. L’idea della ricerca dell’origine, del principio è un’idea che ha sempre affaticato l’uomo fin dall’inizio della sua storia. Anche il sapere mitico era nato da questa esigenza ineliminabile, ma allora qual è la differenza tra il principio della filosofia e il principio del mito? Per rispondere a questa domanda dobbiamo adesso chiarire il secondo carattere dell’argomentare filosofico. Esiste in greco una parola lògos, parola fondamentale della filosofia, che normalmente viene tradotta come ragionamento, discorso. Può, però, assumere ulteriori significati, tratti dalla storia del pensiero filosofico: misura, ordine, proporzione, fondamento, principio, causa, sostanza. Ogni uno di questi termini meriterebbe una approfondita analisi, ma a noi interessa il significato univoco che vi si può intravedere perché ogni termine suddetto lo esprime. I filosofi si sono accorti nella loro esperienza speculativa che esiste qualcosa che regge, come le fondamenta di una casa, sia il linguaggio umano che la realtà. Il lògos è ciò che sta al di sotto del linguaggio e della realtà, senza di esso tutto crollerebbe nel caos e nella dispersione. Il lògos ha come suo oggetto privilegiato tutta quanta la realtà, l’intero dell’essere, l’intero delle cose; questo lògos non è visibile immediatamente, non appartiene alla sfera della sensibilità se non come suo effetto, è nascosto ma non irraggiungibile perché si lascia disvelare nella sua dinamica di assenza/presenza. In questo consiste il secondo carattere dell’argomentazione filosofica. Il terzo carattere proprio della filosofia è la contemplazione del lògos, il suo carattere teoretico puro, la libertà disinteressata del pensiero che per amore al lògos cerca di rintracciarlo nelle cose visibili.
Ecco come Aristotele nella sua Metafisica chiarisce questo carattere della filosofia: “Che poi, essa non tenda a realizzare qualcosa, risulta chiaramente anche dalle affermazioni di coloro che per primi hanno coltivato filosofia. Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dello stesso universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c’era pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. È evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa”. La teoresi viene prima della prassi, nell’ordine gerarchico del sapere ha una valenza esclusiva, primaria; anzi senza di quella non potrebbe nemmeno darsi questa [pensare bene per agire bene]. La molla che spinge alla conoscenza è la meraviglia, lo stupore di fronte alle cose; chi si stupisce pensa, riflette su ciò che gli accade, su ciò che vede e che sente, su quella che è la sua posizione nell’universo, sull’universo stesso, sulla sua condizione di uomo in se stesso ed in relazione ad altri uomini. Inoltre, si può dire, che la meraviglia scatta quando qualcosa ci sorprende, si rivela come non ce l’aspettavamo, come qualcosa che supera il nostro senso abituale dell’esistere e dell’esserci: è, fondamentalmente, qualcosa che ci spiazza, che ci mette in gioco, che stimola al giudizio, ad una presa di posizione di fronte alle cose e a se stessi. Bisogna, però, capire il movimento generatore della meraviglia.
Questa è sempre qualcosa che si impone dall’esterno a noi: è l’imporsi del lògos al pensiero, non è dominabile dal soggetto che la subisce fino a che non la introduce nell’attività pensante. Aristotele nel passo sopracitato sembra usare come sinonimi i concetti di dubbio e di meraviglia, infatti chi dubita non conosce la cosa verso la quale esprime il suo dubbio e quindi si accorge di non sapere. La conclusione è che per liberarsi dall’ignoranza gli uomini hanno incominciato a filosofare, a ricercare il lògos; attenzione, però, questo lògos non è più quello del mito perché il lògos del mito non nasce dalla libertà interiore dell’uomo essendo sovraordinato rispetto ad essa e, quindi, per usare l’espressione aristotelica “asservito ad altri”, ma nasce dalla libera ricerca di un discorso interamente fine a se stesso. È come se il filosofo si considerasse non più schiavo ma libero, libero di abbandonare il porto sicuro di una “immagine del mondo” qualunque essa sia per inoltrarsi nel grande e rischioso mare dell’essere. Filosofia, quindi, è amore di sapienza non è sapienza; tutta la storia della filosofia non esprime altro che questa tensione verso la sapienza. Da questa idea derivano delle conseguenze capitali per la comprensione della scienza che ci apprestiamo a studiare: a] il sapere filosofico non può considerarsi una costruzione del pensiero, una manipolazione del soggetto conoscente; b] la sapienza è un dato oggettivo che in qualche modo deve rivelarsi al pensiero, solo in questo modo la filosofia può assumere il suo valore di scienza, l’oggettività del dato è un presupposto di tutte le scienze; c] l’oggetto della sapienza è il tutto della realtà, si potrebbe dire la verità, una verità, però, che non si deve cercare ma trovare. La verità non è ciò che si cerca ma ciò che si trova.
Non ci sono note al testo per non interromperne la lettura, spero in questo modo di far cosa gradita ai lettori. Comunque ogni citazione è fedele e chi vuole può controllarne l’autenticità.