PERCHÉ LA FILOSOFIA La verità non è ciò che si cerca ma ciò che si trova
di Ilario Santostefano
LA FILOSOFIASCIENZA UNICA, a sé stante.
Non può trovare relazioni, se non di tangenza,
occasionali, con ogni altra forma del
pensare umano: le scienze fisiche e naturali,
le scienze della psiche, le arti, le religioni,
le scienze politiche economiche e sociali,o
altre forme di rappresentazione della realtà,
non riescono a delimitare il suo ambito di indagine.
L’oggetto della filosofia si trova
sempre al di là di esse, non è determinabile
con precisione da alcun sapere tecnico, tecnologico
o scientifico, da alcun sapere umanistico
in senso lato, da alcun sapere religioso
o mitologico anche se tutti questi tipi
di sapere ne sono impregnati e non ne possono
fare a meno. La filosofia nacque in Grecia
fra il VII e il VI sec. a.C. Precisamente nelle
colonie ioniche dell’Asia mediorientale. Il
sapere dell’uomo a quel tempo era costituito
da miti, religioni, arti, scienze [anche se
strutturalmente differenti da quelle attuali].
La realtà del mondo e dell’uomo era vista
con occhi inconsapevoli, distratti, la tradizione
sapienziale funzionava da schermo attraverso
cui si lasciava filtrare solo ciò che
dalla realtà vissuta veniva colto. La base su
cui le argomentazioni, di qualsiasi specie, si
disponevano era un misto di razionalità, immaginazione,
credenze, sensazioni, moti
oscuri dell’animo umano, emozioni, sensibilità;
insomma, un calderone in cui tutto
veniva mescolato senza un senso ben preciso.
Tutto ciò su cui da sempre l’uomo si affaticava:
gli dei, l’anima, il mondo, la condizione
umana, l’origine del tutto erano un po’
come una grande nebulosa nella quale non
si distinguevano precisamente le parti. Il
pensiero era sovraordinato rispetto a se stesso
come quando si accetta qualcosa che
preesiste alla riflessione per mancanza di riflessione.
Tutto era sovraordinato: l’uomo e
la sua esistenza nel mondo, l’universo, il senso
religioso, l’abilità tecnico-scientifica, lo spirito teoretico. Non c’era distinzione di
piani, di livelli, tutto si teneva al tutto. Certo
la realtà poteva benissimo essere rappresentata
e vissuta all’interno di quel tutto, ma
non distinta, non coglibile con determinazione.
Come si sa il termine filosofia letteralmente
significa amore di sapienza, ma in
che cosa consiste precisamente tale impulso
verso la conoscenza? E di che tipo di conoscenza
si tratta? Si possono distinguere tre
caratteri dell’argomentare filosofico. Il primo
carattere è dato dal contenuto, dall’oggetto
proprio della filosofia: la totalità delle
cose. Si potrebbe, a questo punto, supporre
una ricaduta nel Tutto prefilosofico, ma non
è così. Il Tutto prefilosofico era indistinto, sovraordinato,
condizionato da vari piani che
si intrecciavano e si sovrapponevano. Il Tutto
filosofico, invece, è un ordine, una distinzione
di piani, è colto da una riflessione che
non si lascia sovra ordinare miticamente,
non è condizionato da una simbologia esoterica
a cui si può far dire tutto e il contrario
di tutto. Introducendo questa distinzione la
filosofia si sceglie il proprio oggetto di studio:
la realtà nella sua totalità è distinta strutturalmente
dalla realtà indagata dalle scienze
particolari, dalle religioni o dai miti. Il filosofo
si sgancia da ogni sovra ordinazione
culturale preesistente e si misura in modo
autonomo con la realtà che ha di fronte. Tutte
le scienze particolari si limitano a spiegare
determinati settori della realtà, la filosofia
no. La filosofia pretende di cogliere il principio
di tutta quanta la realtà. L’idea della ricerca
dell’origine, del principio è un’idea che
ha sempre affaticato l’uomo fin dall’inizio
della sua storia. Anche il sapere mitico era
nato da questa esigenza ineliminabile, ma
allora qual è la differenza tra il principio della
filosofia e il principio del mito? Per rispondere
a questa domanda dobbiamo
adesso chiarire il secondo carattere dell’argomentare
filosofico. Esiste in greco una parola
lògos, parola fondamentale della filosofia,
che normalmente viene tradotta come
ragionamento, discorso. Può, però, assumere
ulteriori significati, tratti dalla storia
del pensiero filosofico: misura, ordine, proporzione,
fondamento, principio, causa,
sostanza. Ogni uno di questi termini meriterebbe
una approfondita analisi, ma a noi interessa il significato univoco che vi si può
intravedere perché ogni termine suddetto lo
esprime. I filosofi si sono accorti nella loro
esperienza speculativa che esiste qualcosa
che regge, come le fondamenta di una casa,
sia il linguaggio umano che la realtà. Il lògos
è ciò che sta al di sotto del linguaggio e della
realtà, senza di esso tutto crollerebbe nel
caos e nella dispersione. Il lògos ha come suo
oggetto privilegiato tutta quanta la realtà,
l’intero dell’essere, l’intero delle cose; questo
lògos non è visibile immediatamente, non
appartiene alla sfera della sensibilità se non
come suo effetto, è nascosto ma non irraggiungibile
perché si lascia disvelare nella sua
dinamica di assenza/presenza. In questo
consiste il secondo carattere dell’argomentazione
filosofica. Il terzo carattere proprio
della filosofia è la contemplazione del lògos,
il suo carattere teoretico puro, la libertà disinteressata
del pensiero che per amore al lògos
cerca di rintracciarlo nelle cose visibili.
Ecco come Aristotele nella sua Metafisica
chiarisce questo carattere della filosofia:
“Che poi, essa non tenda a realizzare qualcosa,
risulta chiaramente anche dalle affermazioni
di coloro che per primi hanno coltivato
filosofia. Infatti gli uomini hanno cominciato
a filosofare, ora come in origine, a
causa della meraviglia: mentre da principio
restavano meravigliati di fronte alle difficoltà
più semplici, in seguito, progredendo a poco
a poco, giunsero a porsi problemi sempre
maggiori: per esempio i problemi riguardanti
i fenomeni della luna e quelli del sole
e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione
dello stesso universo. Ora, chi prova
un senso di dubbio e di meraviglia riconosce
di non sapere; ed è per questo che anche
colui che ama il mito è, in certo qual modo,
filosofo: il mito, infatti, è costituito da un
insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché,
se gli uomini hanno filosofato per liberarsi
dall’ignoranza, è evidente che ricercarono
il conoscere solo al fine di sapere e
non per conseguire qualche utilità pratica. E
il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra:
quando già c’era pressoché tutto ciò
che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza
ed al benessere, allora si incominciò a
ricercare questa forma di conoscenza. È evidente,
dunque, che noi non la ricerchiamo
per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa;
e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo
libero colui che è fine a se stesso e non è
asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le
altre scienze, diciamo libera: essa sola, infatti,
è fine a se stessa”. La teoresi viene prima
della prassi, nell’ordine gerarchico del sapere
ha una valenza esclusiva, primaria; anzi
senza di quella non potrebbe nemmeno darsi
questa [pensare bene per agire bene]. La
molla che spinge alla conoscenza è la meraviglia,
lo stupore di fronte alle cose; chi si stupisce
pensa, riflette su ciò che gli accade, su
ciò che vede e che sente, su quella che è la
sua posizione nell’universo, sull’universo
stesso, sulla sua condizione di uomo in se
stesso ed in relazione ad altri uomini. Inoltre,
si può dire, che la meraviglia scatta quando
qualcosa ci sorprende, si rivela come non ce
l’aspettavamo, come qualcosa che supera il
nostro senso abituale dell’esistere e dell’esserci:
è, fondamentalmente, qualcosa che ci
spiazza, che ci mette in gioco, che stimola al
giudizio, ad una presa di posizione di fronte
alle cose e a se stessi. Bisogna, però, capire il
movimento generatore della meraviglia.
Questa è sempre qualcosa che si impone dall’esterno
a noi: è l’imporsi del lògos al pensiero,
non è dominabile dal soggetto che la
subisce fino a che non la introduce nell’attività
pensante. Aristotele nel passo sopracitato
sembra usare come sinonimi i concetti
di dubbio e di meraviglia, infatti chi dubita
non conosce la cosa verso la quale esprime
il suo dubbio e quindi si accorge di non sapere.
La conclusione è che per liberarsi dall’ignoranza
gli uomini hanno incominciato
a filosofare, a ricercare il lògos; attenzione,
però, questo lògos non è più quello del mito
perché il lògos del mito non nasce dalla libertà
interiore dell’uomo essendo sovraordinato
rispetto ad essa e, quindi, per usare
l’espressione aristotelica “asservito ad altri”,
ma nasce dalla libera ricerca di un discorso
interamente fine a se stesso. È come se il filosofo
si considerasse non più schiavo ma libero,
libero di abbandonare il porto sicuro di
una “immagine del mondo” qualunque essa
sia per inoltrarsi nel grande e rischioso mare
dell’essere. Filosofia, quindi, è amore di sapienza
non è sapienza; tutta la storia della filosofia
non esprime altro che questa tensione
verso la sapienza. Da questa idea derivano
delle conseguenze capitali per la comprensione
della scienza che ci apprestiamo
a studiare: a] il sapere filosofico non può considerarsi
una costruzione del pensiero, una
manipolazione del soggetto conoscente; b]
la sapienza è un dato oggettivo che in qualche
modo deve rivelarsi al pensiero, solo in
questo modo la filosofia può assumere il suo
valore di scienza, l’oggettività del dato è un
presupposto di tutte le scienze; c] l’oggetto
della sapienza è il tutto della realtà, si potrebbe
dire la verità, una verità, però, che non
si deve cercare ma trovare. La verità non è ciò
che si cerca ma ciò che si trova.
Non ci sono note al testo per non interromperne
la lettura, spero in questo modo di far
cosa gradita ai lettori. Comunque ogni citazione
è fedele e chi vuole può controllarne
l’autenticità.
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