MTM n°27
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 10 - Numero 1 - dic 2010/feb 2011
Cultura - Musica
 


Lucio Sessa
Lucio Sessa


Anno 10 - Numero 1
dic 2010/feb 2011

 




I CHK CHK CHK
“Strange weather,isn’t it?”: buon lavoro che ripropone una delle band di punta del movimento indie-rock Questo disco, caratterizzato dalla ritmica funky-dance associata ad una energia frutto della ricerca sonora discendente dalle intuizioni di Brian Eno, rappresenta un creativo tentativo di rilanciarsi

di Lucio Sessa

La copertina dell’ultimo album dei Chk Chk ChkNella storia della musica rock, non mancano certo riferimenti tragici e/o maledetti. I chk chk chk, non si sottraggono loro malgrado a questa regola non scritta, riuscendo a reagire alla tragica morte del loro batterista “storico”, (deceduto in seguito alla accidentale caduta nel vano di un ascensore), con un disco che rilancia in ogni caso le ambizioni di musicisti carichi ed esplosivi, che trasmettono voglia di movimento, di vivere, attraverso la loro arte. Strange Weather, isn’t it?, registrato in parte a Berlino, è un lavoro che risente in maniera marcata per loro stessa ammissione, della ricerca svolta nei decenni da quel Brian Eno, genio e collaboratore stretto di un altro genio, David Byrne, nei migliori lavori sfornati dai Talking Heads. Il risultato, lungi dal porsi come uno scopiazzamento bieco, è più che soddisfacente, specialmente per chi ha voglia di ascoltare qualcosa di godibile, non eccessivamente impegnativo ma di gran classe. Infatti, fin dalla prima energica traccia AM/FM, diventa difficile non accompagnare le battute, i tempi del brano, con il movimento di un piede, di una gamba. L’atmosfera funky assume contorni psichedelici, dipanandosi in un pezzo ipnotico di buon livello. Ritmica funky-dance incalzante che ricorda da vicino i Talking Heads, nel secondo brano, The most certain sure, passaggio che si offre ad un ascolto apparentemente facile in stile Jamiroquai, ma molto ben costruito. La musica dei chk, negli anni, è stata spesso a giusta ragione associata ad una vena mai sterile che affonda le proprie radici negli anni 80, abbinata all’energia tipica dei nuovi gruppi statunitensi.
Questa associazione si percepisce molto nella terza traccia, Wannagain, episodio interlocutorio, dove le velleità da rave party ampiamente riconosciute al gruppo, si fondono in una sintesi che ricorda da vicino alcuni passaggi di un altro gruppo molto sottovalutato: i Red Snapper. Un lavoro omogeneo, che denota una continuità ritmica cercata, voluta, ottenuta, e che ci porta alla quarta traccia, Jamie my intentions are bass, pezzo che inizia in sordina (in direzione Clash sponda combat rock), puntellato da chitarre ritmiche sostenute da una regolare sezione ritmica assolutamente godibile, lieve. Le “basse intenzioni” della band, ci portano al 5° brano, cioè Steady as the sidewalk cracks, che tra le tracce del disco, è quella che probabilmente si avvicina di più in assoluto ai precedenti lavori del gruppo, attingendo davvero a piene mani a quella energia combat rock di cui si parlava prima: atmosfere ed impennate funky rock. Forse manca un pò di overpowered, di furore energico al quale i chk ci avevano abituati, ma il risultato non viene meno. La 6ª traccia, Hollow, è un breve spartiacque ritmico introduttivo di un pezzo tenebroso, cupo ed oscuro come Jump Back, settimo episodio di un disco che non si riconosce in una confezione in carta vetrata come alcuni lavori precedenti, ma in cui abbondano “suonini” sapienti, mentre basso e batteria continuano nel loro lavoro incessante. Even Judas Gave Jesus A Kiss, prosegue un viaggio caratterizzato più da lievi interventi e sortite sonore che da energiche cavalcate, rappresentato più da pennellate lievi in un paesaggio aperto, che dalla vivida capacità descrittiva riconducibile ad un quadro impressionista.
Il nono pezzo, The Hammer, riconduce alla formula “rave” che contraddistingueva in alcuni episodi del passato la band, impegnata agli esordi in una sorta di punk-dance robusta, dove i ritmi adattabili ad una discoteca ipnotica erano predominanti. Un lavoro, questo, faticosamente concluso con il decimo ottimo brano, Blue, titolo appropriato per atmosfere rarefatte.
Un tentativo di rialzarsi, nel quale si avverte la faticosa ricerca del ripartire dopo eventi che segnano la vita degli esseri umani.