PESCA IN APNEA:
A TU PER TU CON LA PREDA
Nel numero di Settembre/Novembre scorso
abbiano pubblicato un articolo riguardante l’immersione
subacquea in apnea, passiamo, adesso,
a parlare di pesca in apnea
Testi e foto di Antonio Mancuso
La pesca in apnea, è una attività di prelievo
ittico attuata con la tecnica dell’immersione
senza l’ausilio di attrezzature
autonome di respirazione. Inizialmente è stata esercitata
dall’uomo essenzialmente per procurarsi il cibo ma,
successivamente, è servita anche per raccogliere conchiglie
per colorare i tessuti (la famosa porpora delle
vesti degli antichi romani), spugne per la pulizia e
perle per scambi commerciali. La sua evoluzione nella
forma moderna, tuttavia, è avvenuta nell’ultimo secolo
grazie alle innovazioni nelle tecniche e nelle attrezzature
subacquee. Storicamente denominata “pesca subacquea”,
la trasformazione nell’attuale nome è stata
fatta per sottolinearne il valore
sportivo e la sostanziale differenza
rispetto a quella effettuata, negli
anni passati, con gli autorespiratori,
oggi vietati per l’esercizio di questa
attività. L’estrema sportività di tale
disciplina è dovuta al fatto che l’immersione
si svolge trattenendo il
respiro e, in queste condizioni, si
vanno ad insidiare prede che vivono libere nel loro
habitat naturale. Tutto ciò, di conseguenza, richiede
una preparazione atletica specifica e un’ottimale stato
di salute.
Sebbene, per sommi capi, l’azione di pesca possa
essere schematizzata in poche fasi: preparazione in
superficie, discesa, avvicinamento alla preda, tiro e risalita,
la pesca in apnea è un’attività estremamente
complessa poiché, per ottenere risultati soddisfacenti,
oltre a possedere buoni tempi di apnea, bisogna anche
essere in grado di gestire adeguatamente la permanenza
sott’acqua. L’atleta, in pratica, deve avere, allo stesso
tempo, una particolare attitudine ad adattarsi all’ambiente
marino e una profonda conoscenza
delle abitudini delle specie
ittiche; qualità, queste, che, naturalmente,
si possono affinare con
l’esperienza. Ma la caratteristica
che rende la pesca in apnea speciale
è che si tratta dell’unica forma di
prelievo ittico di tipo selettivo in
quanto è la sola che offre la possibilità di vedere, e quindi scegliere in funzione della
specie e della dimensione, la preda che si intende catturare.
I fondali adatti per praticarla sono prevalentemente
rocciosi, ma gli atleti più preparati riescono ad ottenere
risultati lusinghieri anche in altri tipi di siti, come le
praterie di posidonia (Posidonia oceanica) e in tutti
quei luoghi dove la monotonia del substrato è interrotta
da rocce solitarie, relitti e quanto altro. Le quote d’esercizio
sono comprese generalmente tra la superficie e i primi
15-20 metri, ma un ristretto numero di apneisti particolarmente
dotati è in grado di pescare con continuità oltre i 30 metri e raggiungere perfino profondità prossime
a 40-50 metri.
Il notevole impegno fisico richiesto e il fatto che essa
sia condotta in un ambiente ostile all’uomo, limitano
il numero di praticanti, ma c’è da rilevare che con l’affermarsi
di particolari tecniche di pesca, come l’aspetto
e l’agguato, che premiano la difficoltà della singola
cattura o quella di esemplari di mole, attirano un
sempre crescente numero di praticanti facendo sì che
essa si configuri come una forma di prelievo ittico tra
le più affascinati e, al contempo, particolarmente avvincente.
SENSAZIONI DI UN PESCATORE IN APNEA
Plano silenzioso verso il fondo: il blu intenso mi avvolge. Sento di essere a
posto mentalmente, rilassato, e questa magica atmosfera di suoni lontani,
ovattati, mi incanta.
Il tempo sembra fermarsi. Sono solo le pulsazioni ritmiche del battito cardiaco
a mantenermi in contatto con la realtà; a scandire il passare dei secondi.
Sono in pace con me stesso, e non è certo la ricerca della preda a farmi
stare bene. È questa affascinante avventura che si rinnova ad ogni tuffo,
ad appagarmi.
L’apnea ha il suo fascino discreto e la pesca in apnea diventa il tramite
per raggiungere una tranquillità interiore, che difficilmente troverei altrove.
Che sia una lunga attesa appostato sul fondo, un agguato portato strisciando
tra le rocce sommerse, la ricerca della tana abitata dalla quale prelevare
solo qualche esemplare, di sicuro è che la pesca in apnea mi
coinvolge intensamente.
Il rispetto di un mondo che non può appartenermi, perché troppo distante
da quello della mia quotidianità, è la linea guida di questa passione che mi
fa sentire a stretto contatto con la natura più intima.
Non è una prova di forza la mia; non potrebbe certo esserlo. È il confrontarmi
con un ambiente che, per quanto possa sforzarmi di appartenervi,
non potrà mai essere completamente mio. L’acquaticità, o ancor di più la
sub-acquaticità, mi permettono di avvicinarmi ad esso, di sentirmi una sua
minuscola parte; ma il suo dominio è indiscusso.
La pesca in apnea diventa, così, l’alibi per vivere sempre nuove emozioni.
E non è certo il prelievo selettivo di qualche esemplare ittico a farmi sentire il depauperatore della fauna ittica che altri, invece, continuano a distruggere
inesorabilmente.
E così mi confronto con un ambiente sotto molti aspetti a me ostile, dentro
il quale insidio esseri evolutisi specificamente per svolgere in esso la loro
esistenza. Un confronto, il mio, che a volte vede la mia affermazione ma
che, molto più spesso, mi vede perdente. Certo, è la cattura “ad effetto” a
darmi appagamento; che mi inorgoglisce. Non rientra, invece, nella mia filosofia
la cattura di prede prevedibili, che non esaltano il vero gesto sportivo.
Per raggiungere questo obiettivo mi ingegno, curo la mia preparazione,
cerco di ottimizzare la mia attrezzatura, di entrare in simbiosi con essa. Ed
ecco, quindi, che mi mescolo tra le rocce e le posidonie, quasi a confondermi
con esse. Resto in attesa, mentre l’arma che impugno non è solo
la prolunga del mio braccio, ma anche della mia mente. Scruto il blu allo
scopo di cogliere un indizio che mi indichi la direzione dalla quale si materializzerà
l’esemplare regale che vorrei catturare. O, ancora, scivolo discreto,
quasi a fondermi con le rocce del fondo, per affacciarmi dietro quel
masso che, presumibilmente, nasconde alla mia vista il branco di pinnuti
obiettivo del mio agguato. E, infine, mi trasformo in minatore, per inseguire
la grossa sagoma che, con una potente scodata, ha raggiunto i recessi
più nascosti del suo rifugio di roccia.
E quando è la freccia ad avere la meglio, non sarà certo un’esplodere di
squame a suggellare la mia affermazione, ma la consapevolezza di aver
vissuto ancora una volta, da protagonista, una splendida avventura nel
continente sommerso…
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