L'EVOLUZIONE
DELLA DISTRIBUZIONE DEI REDDITI
DEGLI ITALIANI E LA POVERTÀ
La crisi internazionale ha riportato alla ribalta il problema della povertà,
anche nei paesi "ricchi"
di Antonio Di Majo
FINO A QUALCHE ANNO FA si trattava di un
problema che veniva spontaneamente
collegato ai paesi "poveri". I dati statistici
confortavano questa opinione. Per restare al nostro
paese, il reddito procapite, che era pari al 55% di
quello degli USA nel 1960, aveva raggiunto negli anni
novanta più del 70%, e si era trattato, per entrambi i
paesi, di redditi in crescita poderosa nel corso di quei
decenni. La diffusione del benessere, fino a raggiungere
gli strati meno favoriti della popolazione,
si riteneva che sarebbe continuata
con il persistere dello sviluppo
fino a condurre, in tempi ragionevoli,
alla sconfitta definitiva
della povertà. Ma nel successivo
decennio il trend si è invertito:
siamo tornati a una percentuale vicina
al 60 percento, con un tendenza
che nel nostro paese risulta più accentuata
che in altri paesi europei (si vedano i dati riportati
da L. Cannari e G. D'Alessio nel volumetto
sulle "Famiglie italiane", edito dal Mulino nel 2010, in
particolare pag.42).
Nell'ultimo mezzo secolo si è modificata la distribuzione
complessiva dei redditi delle famiglie italiane: l'indicatore
più frequentemente adottato a livello internazionale
(indice di Gini) mostra che nel nostro paese la
diseguaglianza si è ridotta notevolmente tra gli anni
sessanta e gli anni novanta, ma nel
corso degli ultimi due decenni essa
è tornata a crescere. Nei confronti
internazionali attualmente stiamo
meglio di pochi paesi (gli USA,
Israele, il Portogallo, tra quelli di
dimensioni significative), mentre
la situazione è più equa nella maggioranza
degli altri paesi europei
di non piccole dimensioni. La distribuzione complessiva più equa raggiunta nei decenni
passati era stata caratterizzata, tra l'altro, da un forte
miglioramento della situazione economica degli anziani,
oltre che dei lavoratori dipendenti. Si registra
attualmente, invece,un peggioramento e le prospettive
sono, a condizioni immutate, ancora meno rosee: il
sistema pensionistico prospetta un futuro gramo per
gli attuali lavoratori. Le pensioni basate sul sistema
contributivo, ossia commisurate a frazioni delle attuali
"basse" retribuzioni della maggioranza dei giovani lavoratori,
lasciano prevedere redditi modesti per i
"futuri" anziani. Anche la forte disoccupazione giovanile,
oltre a esprimere il disagio economico e sociale
del tempo presente, può rappresentare, in assenza di
inversioni di tendenza, un rafforzamento delle tendenze
appena indicate. Le informazioni statistiche su grandezze
diverse dal reddito (individuale o familiare)
complessivo, come quelle sui consumi, sulle abitazioni,
sulla ricchezza confermano il peggioramento delle
tendenze perequative sul complesso della popolazione,
ma anche che l'area della povertà ha ripreso ad estendersi,
dopo decenni di contrazione. Gli indici di
"povertà assoluta", che fanno riferimento a panieri di
beni ritenuti essenziali per la vita di famiglie che
vivono in comunità definite nel tempo e nello spazio
(i panieri, quindi, si modificano con l'evoluzione del
contesto socioeconomico di riferimento), danno indicazioni
non rassicuranti.
È vero che queste misurazioni
sono soggette a numerose
difficoltà metodologiche, oltre che
di pratico reperimento dei dati, e
che nel lungo periodo il contesto
di riferimento cambia il contenuto
dei panieri e dei corrispondenti
prezzi (all'inizio degli anni cinquanta
l'Istat teneva conto della
possibilità di consumare zucchero
e della disponibilità di scarpe, mentre
oggi considera anche i prodotti che servono ad assicurare
un certo stato di salute), ma come sembra indubbia
la minore povertà degli anni novanta rispetto
al passato, così il trend più recente sembra andare
nella direzione opposta. Si rimanda al volume citato
per approfondimenti, ma per dare un'idea della situazione
attuale si osservi che l'Istat ha stimato che
nel 2007 la spesa minima per restare al di fuori della
povertà era di 600 euro per una famiglia di 2 persone
di un piccolo comune del Mezzogiorno e di 1000 euro
mensili in un comune metropolitano del Nord e entro
queste soglie si collocano alcuni milioni di persone.
La modifica delle situazioni familiari, rispetto ai decenni
precedenti, la crescente incidenza di una immigrazione
non sempre destinata a occupazioni sufficientemente
remunerate, e tutte le altre note condizioni di disagio
sociale fanno prevedere che le condizioni di povertà
andranno aggravandosi, se non si verificherà prima di
tutto una nuova fase di forte sviluppo del prodotto complessivo,
che potrà assicurare maggiori disponibilità di
risorse sia per chi partecipa direttamente ai processi
produttivi sia per gli attuali "emarginati" da tali processi,
da reintegrare ovvero, nei casi impossibili, da assistere.
Purtroppo le previsioni attuali per le economie europee
non sono rosee e si può prevedere che sicuramente
ancora per qualche anno la situazione dei "poveri" non
migliorerà, anzi potrà manifestare peggioramenti. Si
può concludere con una sintetica notazione su attuali
situazioni di povertà in Italia: «la
frequenza di casi di povertà tra i nuclei
familiari che includono figli minorenni
è relativamente elevata per
quelli con più di 2 figli e per quelli
in cui il coniuge non svolge un'attività
lavorativa; essa è altresì relativamente
molto elevata tra i nuclei residenti
nel Mezzogiorno». (Cannari e D'Alessio,
op. cit., p. 64)
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