RIFLESSIONI SU TALETE
Diogene Laerzio: «Riteneva (Talete) che l'acqua fosse il principio che era alla
base di tutte le cose e considerava il mondo animato e pieno di demoni»
di Ilario Santostefano
RIFLETTIAMO SU QUANTO DIOGENE LAERZIO
ci tramanda. Le cose, tutte le cose,
hanno un principio, questo principio
per essere tale deve essere eterno, non mortale, altrimenti
tutta quanta la realtà non potrebbe generarsi; la nascita
delle cose presuppone l'immortalità della causa della
generazione, se questo non dovesse verificarsi tutto
sarebbe soggetto al nulla e dal nulla non potrebbe nascere
nulla. Solo assumendo una realtà che rimane
sempre identica a se stessa può scaturire l'origine di
ogni cosa mortale. Il finito presuppone l'infinito affinché
tutto non sia caos, disordine; niente potrebbe generarsi
ed anche se si generasse sarebbe necessariamente
condannato al niente. Per Talete ci doveva essere da
sempre una causa, una verità che
dovesse sostenere l'universo e tutti
gli esseri che ne facevano parte,
senza esclusione, le cose animate
come quelle inanimate poiché se
tutto aveva un principio niente si
sarebbe esaurito nel nulla. Il nonessere
nella sfera del principio non
è, vengono all'essere le cose ma, per loro natura, ritornano
eternamente nella dimensione dell'infinito. Se il
tutto dell'essere è nel tutto della realtà allora questo
non è altro che un rispecchiarsi di quello, così il mondo
è animato (possiede un'anima immortale) e pieno di
demoni (qui vi è la presenza ancora della visione e
delle sensibilità mitiche). È questa la soluzione della
contraddizione (come può un'anima immortale abitare
in un corpo mortale). Solo supponendo l'eternità dell'essere
si può affermare la finitezza stessa di esso.
Solo nel ritornare delle cose al principio che sempre è,
è possibile sperimentare il venire all'essere del tutto. È
un eterno ritorno che presiede al nascere e al distruggersi
delle cose che sono. Ma c'è di più nella riflessione taletiana.
Talete individua il principio
nell'acqua. L'acqua, ora, è un elemento
terreno, mondano, ciò vuol
dire che l'eternità è una dimensione
dell'universo, della natura, tutto
essendo natura è, è stato e sempre
sarà: l'acqua è, è stata e sempre
sarà, in eterno ed ogni cosa distruggendosi ritorna nella dinamicità circolare dell'infinito.
Per Talete non esiste un principio trascendente
ma immanente all'essenza stessa della natura; il
"divino" è la natura, come tutto ciò che in essa è generato
è pieno di dei perché riflette la divinità del
principio: la sostanza di tutto è "acqua".
Riprendiamo ancora una volta il frammento di Diogene
Laerzio su cui stiamo lavorando: «È famosa la storia
del tripode che, tratto dal mare da alcuni pescatori,
venne inviato ai sette sapienti dal popolo di Mileto. Si
dice infatti che dei giovani Joni avessero acquistato
da alcuni pescatori milesi il contenuto di una rete;
una volta ritirata la rete ne uscì il tripode, che provocò
una contesa. I Milesi mandarono allora ad interrogare
l'oracolo a Delfi.
E il dio diede questo responso: «O Milesio, tu interroghi
Febo sul tripode?/E io ti dico: appartiene a chi di tutti
è il più saggio». Essi lo dettero allora a Talete. Questi lo
inviò ad un altro dei sette sapienti, e questi ad un
altro ancora, fino a Solone, il quale dichiarò infine che
il più saggio di tutti era il dio e rimandò il tripode a
Delfi». La storia del tripode pescato e che ritorna a
Febo indica lo status del filosofo,
del sapiente: solo il dio è sapiente,
il filosofo appunto non è che un
amante della sapienza, il più sapiente
è il dio.
A questo punto esaminiamo un
frammento tratto dalla Metafisica
di Aristotele: «Dei primi filosofi, i
più hanno pensato che vi siano
solo principi materiali delle cose.
Ciò da cui le cose hanno il loro essere
e da cui si originano e in cui
corrompendosi si risolvono- poiché
la sostanza permane pur mutando
negli accidenti -dicono sia l'elemento primordiale e,
essa sostanzia, il principio delle cose; per questo pensano
che niente si generi o perisca in assoluto, dato
che tale sostanza permane in eterno». Questa affermazione
aristotelica è il cardine intorno a cui ruota
tutta la filosofia. Innanzitutto è certo che Talete pose
l'acqua quale principio materiale, immanente all'essere
delle cose; inoltre, la realtà del principio, dell'origine
aveva in sé una conseguenza che sarebbe divenuta di
capitale importanza per tutta la riflessione filosofica
successiva. Le cose, tutte le cose, sono finite, hanno
un'origine come l'esperienza ci attesta. Se tutto rimanesse
a questo stadio tutto sarebbe finito, tutto originandosi
si corromperebbe, non ci sarebbe più la continuità
della vita nell'universo perché non esisterebbe
più un principio da cui le cose potrebbero venire all'essere,
ma siccome l'essere è, il nulla non è (perché
c'è l'essere e non il nulla?) dall'esistenza di un principio
si può inferire la permanenza nell'essere del principio
stesso, in altri termini, la condizione dell'eternità è
necessaria alla generazione delle cose. Solo un principio
eterno, primordialmente eterno, poteva rendere ragione
dei fenomeni. Se tutto dovesse nascere
e perire in assoluto sarebbe
preclusa la stessa dinamica di generazione
e corruzione in quanto
non esisterebbe nulla. L'elemento
primordiale sostiene nell'essere
tutto ciò che è, permanendo in se
stesso eternamente. L'elemento
materiale è eterno, quindi, la materia
di cui è fatto è eterna. Strana
contraddizione: i fenomeni sono
finiti mentre ciò da cui provengono
è infinito, dall'infinito il finito, dall'eterno
il tempo.
|