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Dott. Eugenio Raimondo
Direttore scientifico e
responsabile editoriale.
Il Prof. Vangelista si laurea in
Medicina e Chirurgia a Roma
nel 1968. È specialista in
Neurochirurgia nel 1972.
Assistente NCH S. Camillo
di Roma ed Eo Ospedali
Galliera di Genova fino al
1976, quando divenne Aiuto
Neurochirurgo presso il CTO
ove è Direttore di UOC
(Primario) dal 1991.
Negli Stati Uniti, ha acquisito particolari tecniche di
microchirurgia e dì chirurgia
del basicranio, ed in
Scandinavia le basi di
Neurochirurgia stereotassica.
In Svezia presso il Karolinska
Institute apprende particolare
padronanza per le delicate
tecniche d’uso della GAMMA
UNIT. È dal 1995 professore
a contratto alla scuola
di specializzazione di
Tor Vergata.
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Il reparto di neurochirurgia
del Cto
Intervista al primario Sante Vangelista
di Eugenio Raimondo
Le migliori strategie tecniche e terapeutiche del reparto di neurochirurgia
dell’ospedale C.T.O. (ASL C), l’alta tecnologia e la competenza
professionale dell’equipe, il futuro del reparto nelle parole del
primario Sante Vangelista.
Continuando nella nostra indagine sugli
Ospedali e Reparti localizzati nel territorio della ASL C, per questo
numero ci siamo occupati della Divisione di Neurochirurgia (u.o.c.) che
è ubicata al secondo piano dell’Ospedale CTO e diretta dal
prof. Sante Vangelista.
Il professor Vangelista ci ha accolto con grande cortesia, fornendoci
tutte le informazioni di cui avevamo bisogno e permettendoci di visitare
la Divisione che certamente si presenta come moderna ben tenuta e tra
le più efficienti del panorama regionale. La Neurochirurgia del
CTO ha sempre avuto tradizioni di eccellenza che hanno seguito lo sviluppo
della Specialità ed il prof. Vangelista si è fatto promotore
di un grande ulteriore sviluppo.
Storicamente inserita nel contesto di un Ospedale ortopedico, trattava
ai suoi esordi prevalentemente la patologia di confine tra Neurochirurgia
ed Ortopedia: ernie del disco lombari e cervicali, patologie complesse
della colonna e del midollo spinale. Poi, gradualmente la Divisione è
riuscita a diversificare la propria attività estendendola a tutti
i campi di applicazione della Neurochirurgia, raggiungendo livelli di
eccellenza paragonabili a quelli della Neurochirurgia nazionale ed internazionale.
Come nasce il Prof. Vangelista neurochirurgo?
Ho iniziato al San Camillo nel ‘72, per quattro anni ho lavorato
a Genova, presso l’Ospedale Galliera al seguito del prof. Tartarini.
Nel 1976 sono tornato a Roma come Aiuto del prof. Chiappetta, proprio
qui al CTO. Dieci anni fa circa, a seguito del trasferimento del Professore
al San Camillo per dirigere quella Divisione, sono diventato Primario.
A quei tempi il Reparto era molto diverso, non c’erano ancora la
TAC e la RISONANZA MAGNETICA; i soli mezzi diagnostici erano gli esami
contrastografici, come ad esempio l’angiografia. Ciò mi permise
di dare un mio contributo fondamentale, e mi valse poi anche il Primariato:
a Genova avevo infatti acquisito una notevole esperienza come neuro-radiologo.
Oggi le cose sono molto cambiate e la nostra Divisione è capace
di effettuare tutte le tecniche più all’avanguardia per il
trattamento delle patologie neurochirurgiche maggiori: tumori, malformazioni
vascolari, aneurismi, patologia del basi-cranio ecc... Io credo che ciò
sia stato possibile anche grazie ad una equipe di Collaboratori che io
ho formato ed indirizzato, scegliendoli tra persone che stimavo sia umanamente
che professionalmente, e con cui abbiamo dato il via, tra l’altro,
alla Neurochirurgia Funzionale, per il trattamento di varie patologie,
tra cui spicca il trattamento chirurgico della Malattia di Parkinson.
A proposito della Malattia del Parkinson, esistono nuovi orientamenti
per il suo trattamento?
L’orientamento fondamentale è pur sempre medico, si tratta
di una malattia degenerativa a carattere evolutivo, neurologica. Ma spesso
la terapia farmacologica è insufficiente per il controllo dei sintomi
ed, in alcune soggetti, può determinare la comparsa di gravi movimenti
incontrollati (discinesie), invalidanti per l’autonomia di vita
del paziente. In casi ben selezionati di portatori di Malattia di Parkinson
idiopatica, la stimolazione cerebrale profonda (DBS) permette di controllare
i principali sintomi della malattia, con il vantaggio di rendere al paziente
la vita più autonoma e più sopportabile il suo handicap.
L’intervento non produce lesioni del Sistema Nervoso ed ha caratteristiche
di reversibilità consentendo altresì di ridurre in modo
significativo la quantità dei farmaci da assumere.
In cosa consiste la tecnica attuale?
Consiste, per semplificare, nell’inserire degli elettrodi in alcune
strutture cerebrali (Sotto-talamo, Globo Pallido), elettrodi che sono
a loro volta collegati ad una sorgente, di impulsi elettrici (pace maker)
programmabile dall’esterno con un computer. La stimolazione avviene
tramite una corrente ad alta frequenza. Ogni impianto costa sui trenta
milioni, ma consente un notevole risparmio nel tempo sia sulla spesa farmacologica
che sull’assistenza fisiatrica. Noi siamo stati uno dei Centri pilota
che in Italia ha effettuato questo tipo di chirurgia, ma seguiamo una
tecnica più complessa basata sullo studio neurofisiologico.
A Roma siete gli unici?
La DBS è utilizzata anche dalla Neurochirurgia della Università
Cattolica, che conduce l’impianto in modo più tradizionale.
Il nostro Reparto ha una casistica con risultati invidiabili ed i pazienti
ci giungono da tutta Italia.
Quanti pazienti avete trattato in questo modo?
Solo una trentina a causa della complessità maggiore della nostra
procedura, che rende necessario separare l’intervento a destra ed
a sinistra. Il numero di procedure chirurgiche è così più
alto, circa un centinaio. È sempre necessario che si instauri una
buona collaborazione tra Neurochirurghi e Neurologi, Neuroradiologi e
Fisiatri per un buon risultato clinico, anche se il ruolo del Neurochirurgo
rimane centrale. Solo con un team affiatato si può andare lontano.
Non tutti i Neurologi condividono questo trattamento, perché ancora
oggi in Italia la figura del Neurochirurgo Funzionale resta «di
confine», e molti Neurologi sono convinti che il trattamento possa
essere limitato al solo ambito medico, escludendo il paziente da una possibilità
concreta di miglioramento. Per fortuna le resistenze sono ormai poche,
perché i risultati sono soddisfacenti!
Andrebbe cambiata l’attrezzatura nel tempo?
Si tratta di una attrezzatura complessa e storicamente in evoluzione.
Tutto viene realizzato a partire da un casco stereotassico, strumento
di riferimento fissato al capo del paziente; noi adoperiamo un casco modificato
(3p Maranello), che possiede potenzialità diverse da un sistema
stereotassico classico.
Quindi non è solo una procedura chirurgica?
È del tutto chirurgica, ma basata su una determinazione matematica
cartesiana del bersaglio. Gli strumenti sono sottili e del diametro di
pochi millimetri. Questo tipo di procedure sono basate sulla filosofia
della minore invasività possibile: sfilata la pinza da biopsia,
ad esempio, non è visibile alcuna lesione. Nel caso della stimolazione
l’elettrodo attivato dal pace maker controlla i sintomi della malattia
inibendo le strutture cerebrali sottoposte a stimolazione, senza danneggiarle.
Le inibisce al 100% o solo in parte?
Del tutto. Ma chiaramente questo avviene anche in rapporto alla precisione
dell’atto chirurgico e non solo da questo: ogni paziente pur con
sintomi simili è diverso dall’altro.
Nel corso dei suoi anni di esperienza nel campo della neurochirurgia,
ha notato cambiamenti nel percorso delle patologie?
Il progresso è continuo e si tende alla minore invasività,
anche nel campo delle patologie vascolari è cosi nata la neuroradiologia
interventistica che cerca di trattare malformazioni vascolari (aneurismi
ed angiomi) per via endovascolare: l’intervento tradizionale vascolare,
chiaramente mantiene al momento una grande validità. In casi selezionati
gli angiomi possono essere trattati con la Gamma - Unit, apparecchiatura
voluta dal prof Chiappetta al CTO, la prima ad essere impiantata in Italia
ed alloggiata in ambienti specificatamente dedicati.
Come viene gestito il «dopo» del paziente?
È un problema importante, visto che il nostro Reparto metaforicamente
presenta «una grossa porta d’entrata ed una piccola d’uscita».
Esiste la difficoltà alle dimissioni dei pazienti che hanno bisogno
di recupero funzionale e fisiatrico spesso con necessità di trattamento
medico internistico. Qui viene fuori il problema dell’assenza di
terapie sub/intensive nel Lazio intero.
Qual’è il futuro del vostro reparto?
Il reparto dovrà essere diviso in due. È probabile che al
CTO rimanga la parte traumatologica, al S.Eugenio andrà invece
la parte elettiva: tumori cerebrali, patologie vascolari. La neurochirurgia
funzionale andrebbe attivata al S.Eugenio e dotata di strumenti, mentre
il traumatizzato cranico e spinale sarebbe giusto trattarlo al CTO.
È prevista una grandezza massima del tumore?
Di due centimetri e mezzo di diametro.
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