MTM n°3

 

MEDICAL TEAM MAGAZINE - Anno 2 - Numero 1 - gen/feb 2003

 


Intervista
 


Alessandra Malito
Alessandra Malito

Nicoletta Alborino
Nicoletta Alborino



Professor Scambia e la ginecologia oncologica
di Alessandra Malito e Nicoletta Alborino

Ricerca, prevenzione e cure nell’intervista a uno dei maggiori esperti a livello internazionale

Prof. ScambiaDal 1998 è Professore Associato di Ginecologia oncologica e dirigente medico di II° livello presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università Cattolica del S. Cuore.
Consulente per la Ginecologia Oncologica dell’Ospedale S. Carlo, Azienda Ospedaliera, di Potenza. Dal 2002 è primario della divisione di Ginecologia Oncologica del Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente.
Ha pubblicato 330 articoli su riviste internazionali. Ha effettuato circa 1800 interventi come primo operatore, 1000 come aiuto e 300 come assistente.

Quali sono le caratteristiche da possedere per fare il chirurgo?
Per prima cosa una grande dedizione e passione al proprio lavoro. Poi una grande umanità poiché il chirurgo è la persona con cui, più che con altri, il paziente ha bisogno di instaurare un rapporto di assoluta fiducia; essendo la persona a cui si affida mentre dorme. Oltre a una grande cultura anatomica, il chirurgo moderno deve conoscere anche la biologia dei tumori, la genetica, la diagnostica per immagini e aspetti che non sono strettamente chirurgici, ma che fanno parte di una valutazione globale della malattia oncologica.
Quali sono i tumori più comuni dell’apparato genitale femminile?
I più diffusi sono i tumori dell’utero, sia del collo che del corpo dell’utero; il più temibile è il tumore ovarico che ha la mortalità sicuramente più alta e che si diagnostica con maggiore difficoltà. Per la nostra esperienza anche il tumore della mammella rientra tra i tumori ginecologici, ed è il tumore a maggior frequenza tenendo conto che, nella società occidentale, circa una donna su 12 si ammala di tumore alla mammella, mentre una donna su 80 è colpita da tumore ovarico.
Cos’è necessario per una lotta più efficace al tumore ovarico?
Nei tumori della mammella e del collo dell’utero la diagnostica è più semplice grazie alla Mammografia alla Visita Senologica, all’Ecografia Mammaria e per il collo dell’utero c’è il Pap Test e la Colposcopia. Per quanto riguarda il tumore ovarico invece la prevenzione è attualmente impossibile, cioè la diagnosi di carcinoma ovarico è generalmente non prevedibile, non esistono categorie a rischio particolare da seguire, non esistono indagini sicure che danno la possibilità di prevenire la malattia; quello che si può raccomandare è una visita ginecologica ogni anno, eventualmente associata con un’Ecografia Transvaginale.
A che punto è la ricerca per questo tipo di tumore?
Negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, e ciò è dimostrato dal miglioramento della sopravvivenza delle pazienti con tumore ovarico, ma non è ancora l’optimum. Oggi una donna giovane affetta da tumore ovarico non deve necessariamente perdere la sua capacità riproduttiva, al contrario, in molti casi, può sottoporsi ad una terapia chirurgica conservativa, cosa che solo pochi anni fa era impensabile.
Attualmente siamo in grado di identificare le «famiglie» a rischio e quindi di sottoporre i soggetti appartenenti a queste famiglie a controlli molto accurati. Nell’ambito di famiglie a rischio di carcinoma ovarico, i soggetti che presentano mutazioni del gene BRCA-1 possono essere sottoposte alla Ovariectomia al termine della loro normale vita riproduttiva.
Infine si è capito molto di più dei meccanismi con cui questo tumore insorge, quindi è molto probabile che nel giro di qualche anno si arriverà ad applicare terapie mirate, volte a colpire non il tumore in generale, ma il singolo tumore, attraverso terapie personalizzate.
Perché è così utile una diagnosi precoce?
È l’unico sistema che consente di intervenire nella fase curabile della malattia. La maggior parte dei successi è legata ad una diagnostica più precisa.
Quando il tumore giunge ad un certo stadio si può contare solo su cure palliative mirate ad alleviare il dolore, più che a bloccare la patologia. Qual è il rapporto con queste cure?
Questo aspetto nel passato è stato molto sottovalutato; credo che, oggi, l’oncologo debba avere come obiettivo principale, se la paziente non è suscettibile di guarigione, il miglioramento della qualità della vita della stessa; da ciò nasce un maggiore impegno nella sperimentazione di cure palliative, mentre si diffonde la figura dello Psico-oncologo, a sostegno della paziente nella difficile impresa di accettazione della malattia.
Quali sono le strutture più attrezzate in questo senso?
È difficile fare una graduatoria, qualsiasi centro oncologico importante a Roma ha un collegamento interno con strutture che fanno assistenza di questo tipo, ma anche a domicilio o in hospice. All’Università Cattolica ci sarà presto un centro di informazioni per sapere quali sono le strutture alle quali rivolgersi e come gestire la malattia.
Quanto ci si abitua al dolore?
Credo che non sia giusto che una paziente provi dolore, ci sono molti farmaci capaci di lenire le sofferenze. Il dolore neoplastico è destinato pressoché a scomparire.
Qualità della vita, libertà di cura, caso Di Bella: tutte bandiere sventolate nelle piazze per reagire a questo abbandono. Secondo lei il mondo medico aveva bisogno di questo «clamore»?
Il caso Di Bella ha portato all’attenzione alcuni aspetti importanti di cui anche l’oncologia cosiddetta ufficiale, cioè quella che si basa su dati scientifici, non può non tener conto: la psicologia del paziente che spesso non vuole rassegnarsi, il modo di approcciare il paziente terminale che a volte è stato troppo brusco.
Il fenomeno Di Bella ha avuto l’effetto di risvegliare l’attenzione dell’oncologia ufficiale e soprattutto di far capire che per fare una buona oncologia c’è bisogno di una buona sperimentazione.
In Italia in quegli anni, per mancanza sia degli strumenti necessari sia dell’approvazione del Ministero della Sanità, era quasi impossibile sperimentare farmaci nuovi.
Perché c’è stato bisogno di una tale provocazione? Quale era il reale problema?
Fino a qualche anno fa tutte le nuove sperimentazioni dovevano essere approvate dal Ministero della Sanità che, essendo sovraccarico di lavoro, non accordava le autorizzazioni. Oggi, sul modello di alcuni stati esteri, le autorizzazioni sono rilasciate dai comitati etici delle istituzioni.
Il suo auspicio è puntare sulla ricerca?
La paziente che entra in un protocollo di ricerca riceve un trattamento migliore perché, in questo modo, è seguita con più attenzione, è obbligata a fare determinati esami, certi tipi di controllo nei tempi prestabiliti. In strutture dove si fa la ricerca si garantisce l’applicazione delle ultime scoperte. Una sperimentazione ben condotta è il sistema di cura migliore. Se noi oggi risparmiamo l’asportazione della mammella a molte pazienti, lo dobbiamo al fatto che un gruppo di donne, in passato, ha accettato di partecipare alla sperimentazione, avviata dall’Istituto Tumori di Milano, sulla quadrantectomia (abbandonando la mastectomia); quelle donne, oltre ad aver curato se stesse nel modo migliore, hanno aperto una strada che è diventata la strada ufficiale in tutto il mondo.
È più importante concentrarsi sulla prevenzione o sulla cura?
Sono importanti entrambi e sono imprescindibili l’una dall’altra.
Vorrebbe dare un consiglio ai medici di medicina generale?
Io credo che il medico di medicina generale sia una figura fondamentale nella vita delle persone: è, infatti, il medico che deve indurre la donna a fare i controlli periodici necessari, soprattutto dopo una certa età; deve, ad esempio, verificare che le donne sopra i 40 anni facciano la Mammografia e il Pap Test tutti gli anni.
Inoltre molte volte il medico di medicina generale è la prima persona alla quale una paziente si rivolge in quanto accusa dei disturbi.
Molte delle difficoltà nella diagnostica del carcinoma ovarico derivano dal fatto che molti sintomi sono confusi con sintomi di tipo gastrointestinale.
Un consiglio che vorrei dare è quello di pensare di più a questa patologia e di ricordarsi che di fronte a sintomi, di tipo addominale, è a volte consigliabile consultare un ginecologo; questo, molte volte, può far guadagnare ad una paziente tempo prezioso.