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Alessandra Malito
Nicoletta Alborino
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Professor Scambia e la ginecologia
oncologica
di Alessandra Malito e Nicoletta Alborino
Ricerca, prevenzione e cure
nell’intervista a uno dei maggiori esperti a livello internazionale
Dal
1998 è Professore Associato di Ginecologia oncologica e dirigente
medico di II° livello presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università
Cattolica del S. Cuore.
Consulente per la Ginecologia Oncologica dell’Ospedale S. Carlo,
Azienda Ospedaliera, di Potenza. Dal 2002 è primario della divisione
di Ginecologia Oncologica del Dipartimento per la Tutela della Salute
della Donna e della Vita Nascente.
Ha pubblicato 330 articoli su riviste internazionali. Ha effettuato circa
1800 interventi come primo operatore, 1000 come aiuto e 300 come assistente.
Quali sono le caratteristiche da
possedere per fare il chirurgo?
Per prima cosa una grande dedizione e passione al proprio lavoro. Poi
una grande umanità poiché il chirurgo è la persona
con cui, più che con altri, il paziente ha bisogno di instaurare
un rapporto di assoluta fiducia; essendo la persona a cui si affida mentre
dorme. Oltre a una grande cultura anatomica, il chirurgo moderno deve
conoscere anche la biologia dei tumori, la genetica, la diagnostica per
immagini e aspetti che non sono strettamente chirurgici, ma che fanno
parte di una valutazione globale della malattia oncologica.
Quali sono i tumori più comuni dell’apparato genitale
femminile?
I più diffusi sono i tumori dell’utero, sia del collo che
del corpo dell’utero; il più temibile è il tumore
ovarico che ha la mortalità sicuramente più alta e che si
diagnostica con maggiore difficoltà. Per la nostra esperienza anche
il tumore della mammella rientra tra i tumori ginecologici, ed è
il tumore a maggior frequenza tenendo conto che, nella società
occidentale, circa una donna su 12 si ammala di tumore alla mammella,
mentre una donna su 80 è colpita da tumore ovarico.
Cos’è necessario per una lotta più efficace
al tumore ovarico?
Nei tumori della mammella e del collo dell’utero la diagnostica
è più semplice grazie alla Mammografia alla Visita Senologica,
all’Ecografia Mammaria e per il collo dell’utero c’è
il Pap Test e la Colposcopia. Per quanto riguarda il tumore ovarico invece
la prevenzione è attualmente impossibile, cioè la diagnosi
di carcinoma ovarico è generalmente non prevedibile, non esistono
categorie a rischio particolare da seguire, non esistono indagini sicure
che danno la possibilità di prevenire la malattia; quello che si
può raccomandare è una visita ginecologica ogni anno, eventualmente
associata con un’Ecografia Transvaginale.
A che punto è la ricerca per questo tipo di tumore?
Negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, e ciò è dimostrato
dal miglioramento della sopravvivenza delle pazienti con tumore ovarico,
ma non è ancora l’optimum. Oggi una donna giovane affetta
da tumore ovarico non deve necessariamente perdere la sua capacità
riproduttiva, al contrario, in molti casi, può sottoporsi ad una
terapia chirurgica conservativa, cosa che solo pochi anni fa era impensabile.
Attualmente siamo in grado di identificare le «famiglie» a
rischio e quindi di sottoporre i soggetti appartenenti a queste famiglie
a controlli molto accurati. Nell’ambito di famiglie a rischio di
carcinoma ovarico, i soggetti che presentano mutazioni del gene BRCA-1
possono essere sottoposte alla Ovariectomia al termine della loro normale
vita riproduttiva.
Infine si è capito molto di più dei meccanismi con cui questo
tumore insorge, quindi è molto probabile che nel giro di qualche
anno si arriverà ad applicare terapie mirate, volte a colpire non
il tumore in generale, ma il singolo tumore, attraverso terapie personalizzate.
Perché è così utile una diagnosi precoce?
È l’unico sistema che consente di intervenire nella fase
curabile della malattia. La maggior parte dei successi è legata
ad una diagnostica più precisa.
Quando il tumore giunge ad un certo stadio si può contare
solo su cure palliative mirate ad alleviare il dolore, più che
a bloccare la patologia. Qual è il rapporto con queste cure?
Questo aspetto nel passato è stato molto sottovalutato; credo che,
oggi, l’oncologo debba avere come obiettivo principale, se la paziente
non è suscettibile di guarigione, il miglioramento della qualità
della vita della stessa; da ciò nasce un maggiore impegno nella
sperimentazione di cure palliative, mentre si diffonde la figura dello
Psico-oncologo, a sostegno della paziente nella difficile impresa di accettazione
della malattia.
Quali sono le strutture più attrezzate in questo senso?
È difficile fare una graduatoria, qualsiasi centro oncologico importante
a Roma ha un collegamento interno con strutture che fanno assistenza di
questo tipo, ma anche a domicilio o in hospice. All’Università
Cattolica ci sarà presto un centro di informazioni per sapere quali
sono le strutture alle quali rivolgersi e come gestire la malattia.
Quanto ci si abitua al dolore?
Credo che non sia giusto che una paziente provi dolore, ci sono molti
farmaci capaci di lenire le sofferenze. Il dolore neoplastico è
destinato pressoché a scomparire.
Qualità della vita, libertà di cura, caso Di Bella:
tutte bandiere sventolate nelle piazze per reagire a questo abbandono.
Secondo lei il mondo medico aveva bisogno di questo «clamore»?
Il caso Di Bella ha portato all’attenzione alcuni aspetti importanti
di cui anche l’oncologia cosiddetta ufficiale, cioè quella
che si basa su dati scientifici, non può non tener conto: la psicologia
del paziente che spesso non vuole rassegnarsi, il modo di approcciare
il paziente terminale che a volte è stato troppo brusco.
Il fenomeno Di Bella ha avuto l’effetto di risvegliare l’attenzione
dell’oncologia ufficiale e soprattutto di far capire che per fare
una buona oncologia c’è bisogno di una buona sperimentazione.
In Italia in quegli anni, per mancanza sia degli strumenti necessari sia
dell’approvazione del Ministero della Sanità, era quasi impossibile
sperimentare farmaci nuovi.
Perché c’è stato bisogno di una tale provocazione?
Quale era il reale problema?
Fino a qualche anno fa tutte le nuove sperimentazioni dovevano essere
approvate dal Ministero della Sanità che, essendo sovraccarico
di lavoro, non accordava le autorizzazioni. Oggi, sul modello di alcuni
stati esteri, le autorizzazioni sono rilasciate dai comitati etici delle
istituzioni.
Il suo auspicio è puntare sulla ricerca?
La paziente che entra in un protocollo di ricerca riceve un trattamento
migliore perché, in questo modo, è seguita con più
attenzione, è obbligata a fare determinati esami, certi tipi di
controllo nei tempi prestabiliti. In strutture dove si fa la ricerca si
garantisce l’applicazione delle ultime scoperte. Una sperimentazione
ben condotta è il sistema di cura migliore. Se noi oggi risparmiamo
l’asportazione della mammella a molte pazienti, lo dobbiamo al fatto
che un gruppo di donne, in passato, ha accettato di partecipare alla sperimentazione,
avviata dall’Istituto Tumori di Milano, sulla quadrantectomia (abbandonando
la mastectomia); quelle donne, oltre ad aver curato se stesse nel modo
migliore, hanno aperto una strada che è diventata la strada ufficiale
in tutto il mondo.
È più importante concentrarsi sulla prevenzione
o sulla cura?
Sono importanti entrambi e sono imprescindibili l’una dall’altra.
Vorrebbe dare un consiglio ai medici di medicina generale?
Io credo che il medico di medicina generale sia una figura fondamentale
nella vita delle persone: è, infatti, il medico che deve indurre
la donna a fare i controlli periodici necessari, soprattutto dopo una
certa età; deve, ad esempio, verificare che le donne sopra i 40
anni facciano la Mammografia e il Pap Test tutti gli anni.
Inoltre molte volte il medico di medicina generale è la prima persona
alla quale una paziente si rivolge in quanto accusa dei disturbi.
Molte delle difficoltà nella diagnostica del carcinoma ovarico
derivano dal fatto che molti sintomi sono confusi con sintomi di tipo
gastrointestinale.
Un consiglio che vorrei dare è quello di pensare di più
a questa patologia e di ricordarsi che di fronte a sintomi, di tipo addominale,
è a volte consigliabile consultare un ginecologo; questo, molte
volte, può far guadagnare ad una paziente tempo prezioso.
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