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Angelo
Carere
e Romano Zito
Angelo
Carere
University of Rome
Professor of Genetics,
University of Rome
Director of the Laboratory “Comparative Toxicology
and Ecotoxicology” [Istituto Superiore di Sanità, Rome],
1988-present.
President of the European Environmental
Mutagen Society
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Le
patatine fritte,
non sono ancora assolte
di Angelo Carere e Romano Zito
Istituto Superiore
della Sanità/Laboratorio di Tossicologia comparata ed ecotossicologia
Non eccedete, il rischio cancerogeno, anche se debole, non è escluso.
La raccomandazione vale soprattutto per bambini e adolescenti
Oltre
al rischio cancerogeno, l’acrilamide è ritenuta capace di
indurre danni genetici trasmissibili: mutazioni di tipo genetico e cromosomico
La corretta informazione scientifica è
stata sempre difficile da realizzare, soprattutto nel campo sanitario.
La vicenda dell’acrilamide nelle patatine fritte ha dimostrato una
volta di più le aporie dei media in questo campo. I primi articoli
sulla sua presenza in vari alimenti hanno trasmesso al pubblico un allarme
esagerato di rischio cancerogeno, insieme ad inesattezze di vario genere,
come insistere sul ruolo dell’olio di frittura. Gli articoli [6.12.2002]
erano fuorvianti per il consumatore perché sembravano indicare
come responsabile della formazione di acrilamide nelle patatine la bassa
qualità dell’olio di frittura. Invece, l’acrilamide
si forma nelle patate esclusivamente in dipendenza della temperatura:
anche al forno e persino in acqua ad alta temperatura [pentola a pressione].
La sua formazione inizia a 120°-125 °C ed è massima a 180°.
Inoltre, grazie alle recenti scoperte di ricercatori inglesi e svizzeri
[Nature, 419, 449, 2002], il meccanismo di formazione dell’acrilamide
non è più un mistero. I due gruppi di ricercatori hanno
dimostrato che l’acrilamide si può formare durante il trattamento
termico a partire da matrici alimentari ricche di amido [soprattutto patate
e in misura minore cereali], come risultato di reazioni tra amminoacidi,
in particolare l’asparagina e prodotti [n-glicosidi] della reazione
Maillard, responsabile del colore e dell’odore tipici dell’abbrustolimento.
Nelle patate usate commercialmente, l’asparagina è l’amminoacido
prevalente [circa il 40% del totale di amminoacidi liberi] mentre nella
farina di grano corrisponde al 14%.
Va inoltre ricordato che l’allarme “acrilamide nelle patatine
fritte” è merito europeo. Nell’aprile del 2002 l’Agenzia
Alimentare Nazionale Svedese annunciò, sulla base dei risultati
di ricercatori svedesi, guidati da Margareta Tornquist, che l’acrilamide
si formava in prodotti di largo consumo [soprattutto patatine fritte]
quando venivano preparate sopra i 120 °c.
Immediate ricerche condotte in diversi paesi europei [purtroppo non in
Italia!] e negli Usa sull’esposizione ad acrilamide di consumatori
di questi alimenti hanno indicato che questa è elevata, molto al
di sopra del livello raccomandato dalla Oms per l’acqua da bere
[0,5 ug/l], soprattutto nei paesi nordici e che il gruppo più a
rischio è costituito da bambini ed adolescenti. In questi, infatti,
l’esposizione, espressa per kg di peso corporeo, è 2-3 volte
superiore rispetto a quella degli adulti.
Sono diversi anni che l’acrilamide, che ha molti impieghi industriali,
viene considerata cancerogena e genotossica [cioè senza soglia]
sulla base del meccanismo di azione [reazione con il Dna] per i tumori
indotti in ratti e topi. Su tale base, le varie Agenzie Internazionali
[es.: la Iarc e l’Usepa], come anche la Unione Europea, hanno ritenuto
sufficiente l’evidenza di cancerogenesi sperimentale dell’acrilamide,
ritenuta qindi, probabile cancerogeno per l’uomo. Oltre al rischio
cancerogeno, l’acrilamide è ritenuta potenzialmente capace
di indurre danni genetici trasmissibili, essendo risultata capace di indurre
mutazioni di tipo genico e cromosomico, trasmissibili a livello germinale
in roditori.
Di recente sono stati pubblicati due studi epidemiologici nei quali si
è stimato, retrospettivamente, il consumo di alimenti contenenti
acrilamide in gruppi di pazienti affetti da diversi tipi di tumore, confrontati
con campioni sani [tratti dalla popolazione generale] ovvero con pazienti
non oncologici che afferivano agli stessi ospedali dei casi delle patologie
in oggetto. Il primo lavoro [La Mucci et al., British J. Of Cancer, 88,
84-89, 2003], svolto in Svezia, riguarda tre tipi di tumore: intestino
largo, rene e vescica. Lo studio, che presenta grossi limiti, non ha rivelato
alcuna associazione tra incidenza di questi tipi di tumore e l’esposizione
ad acrilamide attraverso la dieta. I risultati di questo studio sono da
considerare inconclusivi.
Nell’articolo del Messaggero,[27 maggio 2003] sono stati riportati
i risultati di un secondo studio epidemiologico [Pelucci et al., Int.
J. Cancer, 105, 558-560, 2003]. Nel secondo contributo, basato su una
serie di studi condotti in Italia e Svizzera tra il 1991 ed il 2000 tenendo
conto delle risposte ad un questionario, è stata analizzata la
possibile associazione tra assunzione di patatine e rischio di cancro
in diversi siti [cavità orale e faringe: 749 casi e 1772 controli],
intestino largo [1225 casi per il colon e 728 casi per il retto, contro
4154 controlli], seno [2569 casi e 2588 controlli] ed ovaio [1031 casi
e 2411 controlli]. Secondo gli Autori i risultati di questa analisi «forniscono
una rassicurante evidenza di mancanza di una importante associazione tra
consumo di patate fritte/al forno e rischio di cancro». Nello stesso
articolo del Messaggero i risultati di questi studi sono stati riportati
come prova di non cancerogenicità delle patatine fritte. Dall’articolo
i media hanno tratto la conclusione che l’acrilamide alimentare
non è cancerogena e non vi sono quindi precauzioni da adottare.
Questa conclusione è errata: in realtà, si può solo
concludere che il rischio cancerogeno dell’acrilamide alimentare
è relativamente basso e difficile, se non impossibile, da evidenziare
con studi di epidemiologia dei tumori nella popolazione generale, data
la loro ben nota scarsa sensibilità. Negli studi di epidemiologia
dei tumori, generalmente, il rischio cancerogeno associato ad un dato
agente viene evidenziato studiando gruppi di soggetti altamente esposti,
come ad esempio negli ambienti di lavoro. Da qui, con opportuni modelli,
si formulano le stime di rischio per la popolazione generale [costituita
da molte persone esposte prevedibilmente a basse dosi]. Per l’esposizione
alimentare ad acrilamide si tratta comunque di milioni o decine di milioni
di persone, per cui anche un modestissimo aumento della incidenza di alcuni
tipi di tumori, che sfugge alle indagini epidemiologiche, può produrre
decine o centinaia di casi di tumore. L’articolo è fuorviante
per il pubblico perché presenta il risultato negativo della indagine
epidemiologica come un dato assoluto di non cancerogenicità, ignorando
tutte le altre evidenze, molto robuste in realtà, accumulate da
decenni e che hanno portato alle classificazioni internazionali dell’acrilamide
quale probabile cancerogeno. Ciò ingenera sfiducia nella comunicazione
scientifica, che sembra passare da un estremo all’altro, disorientando
il pubblico e inducendolo a trascurare qualsiasi precauzione nel consumo
di alimenti contenenti acrilamide come le patatine fritte.
Attualmente, data la riconosciuta rilevanza sanitaria del problema da
parte della Fao/Oms e della Ue , stanno per iniziare o sono già
iniziati in Europa e nel resto del mondo, numerosi progetti di ricerca
sull’acrilamide ed è probabile che nell’arco di due
o tre anni i risultati di tali ricerche permetteranno stime quantitative
del rischio cancerogeno e di quello genetico molto più precise
di quelle ora possibili. Più che dagli studi epidemiologici c’è
da aspettarsi che indagini sperimentali possano fornire risultati decisivi.
Nel frattempo, i consigli da dare ai consumatori, senza comunque voler
creare eccessivi allarmismi, sono i seguenti:
limitare di mangiare patatine fritte [che è un consiglio comunque
valido anche per l’elevato contenuto di sale e olio], soprattutto
nel caso di bambini e donne incinte.
friggere le patatine ed i cibi ricchi di amido e glucosio a temperature
inferiori a 150°C, evitando di far assumere la colorazione marrone-nerastra
tipica dell’abbrustolimento. Nessun problema invece per le patate
bollite a 100°C, che infatti non presentano tracce di acrilamide.
Nel fratempo l’industria alimentare dovrebbe impegnarsi a trovare
condizioni che riducano la formazione di acrilamide in alimenti come patatine
fritte e cereali; esistono al riguardo oltre cento tipi di cultivar diversi
di patate, alcuni dei quali possono avere contenuti di asparagina relativamente
bassi. Agendo quindi sulla matrice di partenza e sulla temperatura, si
dovrebbe facilmente arrivare a poter ridurre significativamente la formazione
di acrilamide.
Istituto
Superiore di Sanità:
Viale Regina Elena, 299-00161 Roma Tel.06.49.901
Siti di riferimento E.D.C.
http://www.endodisru.iss.it
http://www.iss.it/sitp/dist/
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Endocrinologia
Alberto
Mantovani |
I
distruttori endocrini
di Alberto Mantovani
L’esposizione
a sostanze chimiche nell’ambiente di vita e di lavoro e negli
alimenti ha un posto di rilievo fra i fattori di rischio per la salute
riproduttiva. In particolare, la Commissione Europea e altri organismi
internazionali [Oecd, Who] indicano come priorità l'incremento
delle conoscenze sugli Endocrine Disrupting Chemicals [Edc, “distruttori”
o “interferenti” endocrini]. Gli Edc sono un eterogeneo gruppo
di sostanze caratterizzate dal potenziale di interferire attraverso svariati
meccanismi [recettore-mediati, metabolici, ecc.], con il funzionamento
del sistema endocrino, soprattutto con l'omeostasi degli steroidi sessuali
e della tiroide. I più noti Edc comprendono contaminanti alogenati
persistenti [diossine, policlorobifenili], fitofarmaci e biocidi [ad esempio,
etilene-bisditiocarbammati, clororganici], sostanze di uso industriale
[composti fenolici, ftalati]. Gli studi avviati nel corso del Programma
pilota di ricerca dell’Iss [finanziato dal Ministero della Salute
] hanno consentito di mettere a fuoco l’ampio spettro di patologie
correlabili con l’esposizione a Edc. Queste comprendono l’incremento
di abortività precoce associato all’esposizione lavorativa
a pesticidi, effetti a lungo termine sulla funzionalità tiroidea
o riproduttiva in seguito a danni indotti in utero o durante l’infanzia,
patologie metaboliche [ad es. osteoporosi postmenopausale] correlabili
con un’alterata omeostasi di estrogeni e androgeni, ecc. Numerosi
punti restano da chiarire: tra tutti, l’intero spettro di patologie
potenzialmente associabili all’esposizione a Edc.
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