Violenza
domestica
Crescono i casi riportati dalla cronaca di tutti i giorni di efferati e cruenti omicidi commessi tra le stesse mura domestiche. Mamme ai dannni dei loro bambini. Mariti nei confronti delle mogli, etc... spesso privi di un reale movente o, quando vi sia, non in grado di spiegare la cruenza dell'atto commesso.
Qual è il suo punto di vista in proposito? Dove vanno cercate le reali cause di questi fatti? Possono crisi depressive giustificare tali atti? Come è possibile prevenirli?
dell Avv. Nino Marazzita
I maltrattamenti in famiglia, le
violenze domestiche e gli infanticidi sono ormai problemi sociali
non più relegati a sporadici casi; probabilmente l’aumento
statistico di reati così aberranti non dipende solo dall’incremento
in sé del fenomeno, ma anche dal coraggio delle vittime di
denunciare tali abusi e dalla maggiore attenzione che il legislatore,
la Giustizia e i mezzi di comunicazione hanno apprestato nel corso
degli ultimi anni.
Le cause delle violenze familiari, genericamente intese, hanno spesso
origini diverse e ci dimostrano drammaticamente come l’idea
di un nucleo familiare basato su vincoli di solidarietà,
che protegge i suoi membri permettendo loro di svilupparsi, socializzare
e realizzarsi, sia frutto spesso una visione troppo idealizzata.
In
realtà nella famiglia, come in ogni gruppo sociale, esiste
un certo grado di conflittualità, che ha origini biologiche,
sociali, psichico-patologiche o ambientali, e che può trasformarsi
in aggressione verbale, fisica o in vera e propria violenza.
I maltrattamenti e le violenze domestiche, nella maggior parte dei
casi, sono una espressione di potere all’interno di un micro-gruppo
e di una relazione; in tal senso la reazione violenta corrisponde,
di sovente, ad una perdita personale di potere nella società,
nel lavoro e nei rapporti interpersonali, ovvero allo stato psicologico
di colui che si sente incompetente sul piano intellettuale, professionale
ed economico con il partner o i suoi simili.
La violenza può avere anche una base biologica e talvolta
patologica, ovvero essere alimentata, secondo la cosiddetta “teoria
dell’apprendimento sociale”, dall’osservazione
e dall’imitazione di modelli sbagliati; si pensi al caso di
coloro che nascono e crescono in ambienti degradati, conflittuali
o malavitosi.
Più complicata invece è la ricostruzione delle origini
e delle cause del comportamento delle madri omicide.
La valutazione criminologia della condotta della donna in tali casi
muta anche in relazione al momento storico in cui l’atto si
consuma: l’infanticidio dovuto a disturbi seri dell’umore
di tipo depressivo ovvero all’incapacità di svolgere
il ruolo materno non è paragonabile all’omicidio, tipico
della “sindrome di Medea”, di colei che uccide il proprio
figlio, non più neonato, per vendicarsi, in modo aggressivo-compulsivo,
dell’abbandono del marito.
Di
certo anche in tali casi il motivo dell’assassinio può
inserirsi in un contesto di violenza plurigenerazionale, essere
il frutto di una personalità antisociale ovvero determinato
da una vera e propria malattia mentale quale la schizofrenia paranoidea.
L’indicazione delle numerose e variegate cause all’origine
delle violenze familiari ha dato luogo nel tempo a vari approcci
e reazioni dello Stato e della società genericamente intesa.
In tal senso si sono sviluppate, da un lato, associazioni che assistono
le coppie nei loro problemi, ovvero intervengono a difesa dell’elemento
più debole; dall’altro il legislatore ha previsto e
punito, mediante specifiche ipotesi delittuose, condotte violente
consumate all’interno del gruppo familiare, ma ha anche predisposto
misure preventive a tutela della famiglia.
Si pensi in ordine all’ultimo elemento alla Legge n. 154 del
2001 che ha previsto, in caso di violenze familiari ovvero di separazione
dovuta ai maltrattamenti di un coniuge, l’allontanamento del
soggetto violento ovvero l’ordine, penalmente sanzionato,
impartito allo stesso di astenersi da un determinato comportamento.
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