Sclerosi tuberosa:
il caso di Francesca
Una malattia genetica che colpisce 1 persona su 7.000 nel mondo
del Dott. Giuseppe D’Amato
Francesca
è una ragazza mite, serena, disponibile e sorridente, ma
purtroppo è disabile, la sua malattia è la Sclerosi
Tuberosa, malattia genetica rara che colpisce circa 1 persona su
7000 nel mondo. Nei pazienti affetti da questa patologia, le cellule
si sviluppano in maniera anomala e possono provocare ritardo mentale,
epilessia, autismo, problemi comportamentali e forme tumorali a
danno del cervello, dei reni, del cuore, dei polmoni, degli occhi
e della pelle. I sintomi si manifestano in maniera diversa, da persona
a persona, ed è quindi assai difficile poter fare una diagnosi
precoce e tempestiva della malattia. Per Francesca, è stata
sufficiente una Tac cerebrale e la diagnosi attenta e, sfortunatamente,
“indovinata” del neurologo che l’aveva in cura
nel lontano 1981, a meno di tre anni di vita. Anzi è stato
allora che confrontando la sua Tac con la mia si è potuto
capire chi fosse il genitore che gliela aveva trasmessa. Solo che
mentre nel sottoscritto al di là di episodi di epilessia,
ormai ben controllati e debellati dai farmaci assunti non ha procurato
altri danni, in Francesca a livello cerebrale, oltre a portare crisi
epilettiche e un ritardo mentale, che è andato via-via aggravandosi
con il passare degli anni, si è manifestato nella forma peggiore
e cioè con la formazione di un “astrocitoma”
tumore benigno, ma non per questo meno invasivo, che le è
stato asportato all’età di 9 anni in un intervento
durato un’intera giornata e le cui complicazioni post operatorie
[infezione alle meningi e all’encefalo, con necessario ricovero
in isolamento per tre mesi, ritorno per 6 volte in sala operatoria
per rimuovere focolai infettivi] hanno in gran parte compromesso
il successivo sviluppo mentale.
Il suo problema dunque è la disabilità [quella che
con un gentile eufemismo viene chiamata diversa abilità]
o come si dice in inglese “handicap”, che letteralmente
significa svantaggio, intralcio, difficoltà. Non per niente
nello sport quando un concorrente ha un handicap vuol dire che gli
è stata comminata una penalizzazione o inizia la gara in
condizioni di inferiorità. Ma la disabilità è
anche e soprattutto un problema per gli altri, anzi, spesso per
gli altri rappresenta comunque qualcosa che nella migliore delle
ipotesi infastidisce o causa un senso di disagio: risveglia la nostra
coscienza troppo spesso assopita nel tran-tran quotidiano, provoca
un istinto di fuga o un desiderio di distogliere lo sguardo, perché
vorremmo che la nostra vita scorresse serenamente e ci vorremmo
illudere che possa esistere un mondo perfetto in cui tutti stanno
bene solo perché stiamo bene noi. Già è difficile
confrontarsi con l’handicap fisico, quello dei ciechi, degli
zoppi, dei paralitici, di coloro che hanno perso un arto o hanno
un’invalidità ben visibile, figuriamoci quando si tratta
di una inabilità invisibile, ma non per questo meno drammatica.
Mentre l’invalido fisico non è minato nelle proprie
facoltà di apprendimento e di espressione ed ha la forza,
sia individuale che collettiva di alzare la voce e farsi sentire
[anche se ancora non basta], l’invalido mentale è solo
con la sua impossibilità e incapacità di farsi ascoltare
e deve per forza di cose ricorrere all’aiuto altrui, e poco
si fa per rendere più sopportabile la sofferenza di chi non
ha alcuna colpa e non ha scelto di trovarsi in una situazione che,
nella migliore delle ipotesi, coinvolge anche i famigliari. Ancora
lontana appare infatti un’integrazione nell’ambiente
sociale e il confronto con lo stesso ambiente. Non solo i disabili,
ma anche i sani dovrebbero imparare ad affrontare l’invalidità,
perché soltanto in questo modo si potrà sperare di
superare le difficoltà, le paure, i fastidi, gli imbarazzi
e il senso di vergogna che avvolge il mondo dell’handicap,
sia per chi ne fa parte, sia per chi ne è o se ne sente al
di fuori.
Nel momento in cui Francesca ha avuto bisogno di cure odontoiatriche,
perfino un’ortopanoramica è divenuta un problema, è
stato sufficiente trovare un tecnico addetto all’esame di
una pignoleria esagerata, ed ecco che Francesca si è trasformata
in una persona “insofferente e agitata”, che andava
sottoposta a una serie di tentativi per poter ottenere un buon risultato
e che, tra un tentativo e l’altro, sarebbe stato opportuno
mandare a fare una passeggiata per rilassarsi, quando più
probabilmente ad averne bisogno era il tecnico, visto che ad ogni
tentativo si infastidiva sempre di più e soprattutto sembrava
non capire di avere a che fare con una ragazza a cui non si può
chiedere una collaborazione perfetta visto che, non per colpa sua,
è portatrice di handicap.
In questo contesto si inserisce l’incontro, recentissimo,
con il prof. Raimondo che avevamo visto mesi fa in televisione,
e di cui ci aveva colpito la particolare attenzione riservata ai
pazienti con problemi di handicap, tanto difficili da trattare per
gli specialisti “tradizionali” e, spesso, emarginati
in lunghi e inopportuni ricoveri per ricevere cure che in una persona
qualsiasi si risolverebbero con visite ambulatoriali di breve durata.
È stato sufficiente un contatto via email, una telefonata
ed una visita presso il suo studio di Roma ed eccomi qui a parlarne
e a partecipare con lui ad una trasmissione televisiva. Quella insensibilità
a cui accennavo, e la difficoltà di controlli medici specialistici,
a volte sfortunatamente indispensabili, di colpo svaniscono e l’opera
infaticabile del professore è tutta tesa a far si che siano
sempre meno condizionanti. Ben vengano allora medici e operatori
sanitari in grado di rapportarsi a pazienti “diversi”,
ma non per questo meno sensibili e soprattutto molto più
bisognosi di cure ed attenzioni.
Sono entrato in contatto con l’Associazione Sclerosi Tuberosa
casualmente, eravamo stati a fare un controllo EEG a Grottaferrata
presso il Villaggio Eugenio Litta, ed abbiamo scoperto che ci trovavamo
nei locali messi a disposizione dall’Università di
Torvergata per l’associazione nata a tutela dei ragazzi che
ne erano affetti “con l’intento di diffondere informazioni
riguardanti questa patologia sia nel mondo medico sia nella popolazione
per aiutare la ricerca scientifica, promuovere i diritti, incentivare
l’integrazione nella società e interagire con le istituzioni”
e che di lì a qualche mese si sarebbe svolta l’assemblea
nazionale. Siamo andati, mia moglie ed io, più che altro
mossi dalla curiosità e per capire di cosa si trattasse e…
ad essere sinceri non è che ne avessimo ricavato una grande
impressione… discorsi molto belli in teoria, ma molti lati
oscuri, forse dovuti anche alla nostra scarsa conoscenza della malattia
e dei suoi aspetti sociali… un gran parlare di denaro, come
se la raccolta fondi fosse lo scopo essenziale da perseguire, insomma…
un certo senso di disagio, un sentirsi in qualche modo un pesce
fuor d'acqua, l'impressione di una scarsa utilità e di un
apporto ancor più insignificante... e fondamentalmente un
po’ di delusione. Anche se ci era parsa interessante l’iniziativa
di finanziare una borsa di studio per la ricerca genetica sulla
malattia allo staff del prof. Migone, genetista di riferimento dell’associazione
stessa.
Sembrava un episodio destinato a restare isolato, ma le vicissitudini
successive hanno condotto me a partecipare alle riunioni mensili
dei soci del Lazio ed ancora insieme a mia moglie alle successive
assemblee nazionali. In particolare determinante fu una lunga telefonata
avuta con la nostra segretaria Simona Bellagambi, la cui capacità
di comunicare e “interessare” è da tutti ben
conosciuta. Poi i passi successivi, fino ad un coinvolgimento sempre
maggiore, non solo e non più come semplice socio, ma anche
come membro del Consiglio Direttivo e alla partecipazione sempre
più intensa alle attività pratiche, intese anche come
lavoro di ufficio, e di preparazione delle diverse iniziative. Oggi,
grazie principalmente all’opera infaticabile di quella “forza
della natura” che è la nostra presidente Velia Lapadula,
l’AST è cresciuta in modo evidente, sono ormai quattro
anni che viene organizzata la vacanza associativa che è diventata
un vero e proprio momento di aggregazione, sono stati finanziati
diversi progetti scientifici e risolte situazioni di particolare
disagio, e l’anno prossimo si terrà a Roma il convegno
mondiale della S.T. impegno questo di particolare rilievo e ovviamente,
per quello che comporta a livello organizzativo, piuttosto difficile
e stimolante.
Insomma la situazione è in continua evoluzione, e sono convinto
che chiunque abbia partecipato all’ultima assemblea, e alle
attività colletaterali, si sia sentito parte integrante di
un progetto, di un movimento che cresce anche e soprattutto a livello
di solidarietà, in grado di comunicare entusiasmo e trasmettere
una sensazione di appartenenza al gruppo, e vedo le persone che
mi circondano via-via più motivate a continuare un processo
che non può non essere di crescita, sempre nella speranza
che un giorno, speriamo non troppo lontano, si riescano a trovare
delle cure che possano, almeno in parte, essere di reale aiuto e
conforto per i nostri malati.
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