Bioetica e medicina non convenzionale
Terreno di conflitti e contraddizioni
della dott.ssa Rita Tronconi
Sicuramente
uno dei temi che la bioetica non può esimersi dal prendere
in considerazione è quello delle Medicine non Convenzionali,
se non altro perché terreno di conflitti e contraddizioni,
come quella fondamentale di una accresciuta attenzione da parte
di pazienti e classe medica, pur in assenza, oggi in Italia, di
una legge che regolamenti la materia.
Etica come lente attraverso cui leggere il comportamento pratico
dell’uomo e gli interrogativi che la realtà gli pone
nei confronti di un bene e un male su cui correnti filosofiche si
sono profuse in testi.
Pur nella complessità di questi concetti, l’etica rimane,
come parte della filosofia stessa, tenacemente ancorata alla realtà
concreta, vissuta dagli uomini, che da tempo si interrogano sul
significato del loro operare. Non spetta alla bioetica dare risposte
sulla validità delle varie medicine non convenzionali, ma
forse proprio dalla bioetica dovrebbe venire l’invito a ripensare
convinzioni assunte come dogmi.
La filosofia per sua stessa definizione, cioè amore di sapere,
dovrebbe porsi al servizio della ricerca, della speculazione, dell’indagine.
Non avallare concetti assoluti ma porre le domande. Un conto sono
le regole, che il vivere in società impone, ma per le quali
ci sono organi preposti, un altro è la valutazione etica
negativa di ciò che si dice non sia “verificabile”,
riferendosi agli approcci non convenzionali, che non apparterrebbero
quindi alla Medicina Scientifica. È infatti così che
si autodefinisce la medicina ufficiale, identificando la scienza
con il metodo scientifico. Scienza che dal suo significato originario
latino di“conoscenza”, “esperienza”, da
“scio” [sapere], con l’evoluzione del metodo sperimentale,
ha creduto di potersi identificare con il rigore matematico, assumendo
l’accezione di esattezza assoluta, verità precisa e
universalmente condivisa. La storia della scienza stessa ha dimostrato
come questi concetti siano più una meta a cui tendere, al
di là della sicurezza di poterla mai raggiungere. E inoltre
i canoni matematici sono applicabili, con l’effetto di sostanziarne
i contenuti, solo ad alcuni ambiti, pur nel campo delle Scienze.
Nelle scienze che si occupano di sistemi complessi come l’uomo
risultano meno magnificate le caratteristiche di certezza matematica
che risultano invece dal metodo sperimentale applicato ad altri
fenomeni. Ma anche nell’ambito stesso della medicina è
evidente come ad esempio la conta cellulare e la sua lettura interpretativa
nel contesto di un esame di laboratorio offra meno margini alla
espressione della capacità “artistica” di analisi,
intuizione e sintesi che è determinante invece nella risoluzione
di una malattia cronica o comunque complessa.
L’uomo, per sua natura, ricerca punti fermi, formula ipotesi
per validarle in teorie e fatica a considerarle sempre aperte a
nuovi dati, quindi suscettibili di revisione. Conquistata una base,
tende ad ancorarsi a questo successo traendone quasi un senso d’identità.
Accade che il medico si identifichi con i protocolli adottati, mentre
dovrebbe educarsi al “distacco” pur essendo consapevole
dell’utilità di procedure apprese per la pratica quotidiana.
Esempi
eclatanti nella storia della scienza hanno evidenziato che può
accadere che una teoria sia valida solo entro certi limiti e in
certe condizioni. Come a dire che il vero scienziato non possiede
la scienza ma ne è al servizio. Non ha conoscenza ma la ricerca,
integrando i passi acquisiti strada facendo, senza d’altra
parte destabilizzarsi per un senso avvertito di precarietà.
Si agisce secondo la “scienza” del momento, con equilibrio
tra l’utilizzo dei dati appresi e l’apertura ad una
continua ricerca. Un’etica di reale supporto al medico dovrebbe
guidare alla flessibilità, mediazione tra l’espressione
massima delle proprie capacità “ora e qui” e
la consapevolezza dell’”ignoranza” che supera
di gran lunga la conoscenza. Il risultato sarebbe un’etica
dedicata di conseguenza al bene del paziente, che non può
che trarre giovamento da un approccio aperto alla sua complessità,
che non significa solo non “trascurare le esigenze psicologiche”
del paziente [come si legge nel documento del Comitato Nazionale
di Bioetica sulle “medicine alternative” del marzo 2005]
in un dialogo dedicato più attento, ma anche, per esempio,
convincerci che forse solo nel leggendario cavaliere senza testa
sono immaginabili “patologie per le quali non si possono ipotizzare
cause o concause psicosomatiche”.
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