Potere
economico Potere politico
Potere economico e potere politico non sono indipendenti fra di loro anche se è una ovvia ingenuità far discendere il potere politico da quello economico
di Enrico Pugliese
Alla
fine degli anni '50 negli Stati Uniti ci fu una polemica scientifica
tra due sociologi di grande rilievo all’epoca: Talcot Parsons e
C. Wright Mills. La polemica riguardava la questione della cosiddetta
“somma zero del potere”. Wright Mills sosteneva che in ogni società
il potere è distribuito diversamente tra i diversi gruppi sociali,
che lo esercitano anche vicendevolmente e che l’esito finale [la
sommatoria] dei rapporti di potere era a somma zero. In altri termini
per Wright Mills il potere di una classe sociale, ad esempio la
classe operaia, poteva aumentare solo a spese della altra principale
classe, anzi la classe dominante in America, la borghesia. Secondo
la tesi della “somma zero” un aumento di potere della classe operaia
industriale - ad esempio attraverso la vittoria in un’ondata di
scioperi - si traduceva per forza in una riduzione del potere della
borghesia capitalistica industriale. E naturalmente viceversa.
A questa tesi Parsons obiettava che in una determinata società la
quantità di potere di cui i cittadini dispongono non è sempre uguale:
al contrario il potere va considerato alla stregua della moneta,
cioè come un equivalente per gli scambi. In altri termini secondo
Parsons le società evolvendosi possono produrre più opportunità
e quindi i soggetti sociali possono usare, cioè “spendere”, più
potere non a scapito degli altri. In una società più sviluppata
si possono fare più cose, avere più opportunità giacché la ricchezza
istituzionale e le opportunità disponibili variano in rapporto allo
sviluppo.
A ben riflettere a una cinquantina di anni di distanza si può dire
che entrambi gli autori avevano ragione e torto. Indubbiamente le
società occidentali sono diventate tutte più ricche di opportunità,
l’economia è andata estendendosi e diversificandosi e anche le opportunità
di vita generali sono cambiate. Le relazioni fra la gente si sono
intensificate. E in tutte le relazioni comprese quelle più amicali,
si esercitano rapporti di potere. Perciò avrebbe ragione Parsons,
anche perché queste possibilità non hanno riguardato solo le classi
sociali più elevate.
Ma anche nella tesi di Wright Mills resta qualcosa di valido e lo
si può vedere con riferimento ai grandi aggregati anche nella società
contemporanea. E qui bisogna introdurre una ulteriore specificazione
riguardante le diverse dimensioni del potere. Per facilità di analisi
limitiamoci solo a potere economico e potere politico. Negli ultimi
decenni in Italia si può osservare come ci sia stato un ridimensionamento
del ruolo dell’effettivo potere delle organizzazioni dei lavoratori,
delle organizzazioni sindacali. Negli anni ’60 e ’70 esso era -o
per lo meno appariva- molto più forte nella società. E d’altronde
non a caso poi nel corso degli anni ’80 e ’90 la distribuzione del
reddito è andata spostandosi a svantaggio dei lavoratori dipendenti
e naturalmente a vantaggio dei ceti imprenditoriali e redditieri.
Insomma potere economico e potere politico non sono indipendenti
fra di loro anche se è una ovvia ingenuità far discendere il potere
politico da quello economico. Fatta questa premessa, vediamo come
sono andate le cose nella realtà italiana con un breve discorso
a volo d’uccello sull’individuazione delle classi e dei gruppi sociali
che hanno detenuto il potere economico e politico dal momento dell’unità
d’Italia in poi. Un’analisi classica legata al nome di Antonio Gramsci,
ma accettata anche da storici liberali, vede a compimento del Risorgimento
l’esistenza di un blocco dominante economico e sociale con due diverse
localizzazioni territoriali ma capaci di esprimere le stesse rappresentanze
politiche: la borghesia capitalistica imprenditrice agricola e [soprattutto]
industriale al nord e la borghesia terriero fondiaria tendenzialmente
assenteista al sud.
Nel frattempo maturava anche un vasto ceto impiegatizio a diversi
livelli, compresi quelli altri, che però non avevano una grande
autonomia politica. Per dire da chi era costituito questo ceto sociale
si può fare riferimento alle splendide “case popolari” del quartiere
Prati o del Nomentano-Salario: le villette costruite da Muratori
o Calza Bini e abitate dagli strati alti del funzionariato pubblico
perciò “case popolari”.
All’apparenza
le cose non cambiano tantissimo fino al secondo conflitto mondiale
ma in realtà non è così. Proprio gli anni del fascismo sono gli
anni di trasformazione del potere politico, e non solo per effetto
della dittatura. Al contrario, ciò che succede è che in quel ventennio
matura un ceto politico-amministrativo che, legato al regime politico,
si affranca in qualche modo dal potere economico. Emerge cioè quella
che sarà chiamata successivamente “borghesia di Stato” che gestisce
risorse pubbliche in misura crescente mano mano che l’intervento
dello stato nell’economia cresce. Ecco dunque un’altra forma di
intreccio più complessa tra potere politico e potere economico:
anzi una forma di affrancamento del potere politico i cui detentori
diventano soggetti molto più autonomi. E si tratta naturalmente
di un fenomeno stabile e significativo, tant’è che esso prosegue
e si consolida anche dopo la caduta del fascismo negli anni della
Repubblica.
La cosa riguarda tutto il Paese ma riguarda soprattutto il Mezzogiorno.
Quella che era la classe dominate fino al secondo conflitto mondiale-la
borghesia terriero fondiariae che in sostanza dominava anche politicamente
perde di rilevanza a partir dagli anni ‘40. Il potere nel Mezzogiorno
passa a un’altra classe: la borghesia di Stato, quel vasto ceto
di politici di professione, amministratori pubblici, funzionari
dello Stato e degli enti locali che gestiscono anche il flusso di
risorse economiche che dal centro arrivano alla periferia, compresi
il flusso di trasferimenti monetari che proviene dall’Unione Europea.
Ma questa non è neanche solo una storia meridionale. E l’intreccio
tra potere economico e potere politico si esprime anche ad altri
livelli. Spesso si tende a contrapporre la figura dell’imprenditore
magari self-mademan al funzionario pubblico divenuto potente o a
chi ha responsabilità nelle imprese pubbliche o a partecipazione
pubblica. In realtà l’evolversi della struttura di potere economico
ha mostrato come il ruolo dello Stato sia molto più pervasivo di
quanto non sembri solitamente. E in effetti alcuni settori dell’imprenditoria
e conseguentemente del potere economico hanno potuto svilupparsi
solo in virtù dei favori accordati dallo Stato e più in generale
dal potere politico. I settori che per eccellenza si sviluppano
in situazione di protezione politica sono quello immobiliare e quello
dei media. È infatti lo Stato che garantisce a quest’ultimo le “frequenze”
vale a dire la effettiva possibilità di esercitare il potere mediatico.
Insomma gli intrecci tra potere economico e potere politico sono
continui anche se mutano continuamente carattere. Nella società
che si evolve e diventa più complessa anche le forme di potere cambiano
ma quando si realizzano processi di concentrazione come quelli che
vediamo attualmente viene forse da dare più ragione a Wright Mills
che a Parsons.
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