MTM n°17
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 6 - Numero 2 - apr/set 2007
Dibattito
 


Enrico Pugliese
Enrico Pugliese
Professore ordinario di Sociologia all’Università di Napoli “Federico II”


Anno 6 - Numero 2
apr/set 2007

 

Le società occidentali sono diventate tutte più ricche di opportunità, l’economia è andata estendendosi e diversificandosi. Anche le opportunità di vita generali sono cambiate




Potere economico Potere politico
Potere economico e potere politico non sono indipendenti fra di loro anche se è una ovvia ingenuità far discendere il potere politico da quello economico

di Enrico Pugliese

poltroneAlla fine degli anni '50 negli Stati Uniti ci fu una polemica scientifica tra due sociologi di grande rilievo all’epoca: Talcot Parsons e C. Wright Mills. La polemica riguardava la questione della cosiddetta “somma zero del potere”. Wright Mills sosteneva che in ogni società il potere è distribuito diversamente tra i diversi gruppi sociali, che lo esercitano anche vicendevolmente e che l’esito finale [la sommatoria] dei rapporti di potere era a somma zero. In altri termini per Wright Mills il potere di una classe sociale, ad esempio la classe operaia, poteva aumentare solo a spese della altra principale classe, anzi la classe dominante in America, la borghesia. Secondo la tesi della “somma zero” un aumento di potere della classe operaia industriale - ad esempio attraverso la vittoria in un’ondata di scioperi - si traduceva per forza in una riduzione del potere della borghesia capitalistica industriale. E naturalmente viceversa.
A questa tesi Parsons obiettava che in una determinata società la quantità di potere di cui i cittadini dispongono non è sempre uguale: al contrario il potere va considerato alla stregua della moneta, cioè come un equivalente per gli scambi. In altri termini secondo Parsons le società evolvendosi possono produrre più opportunità e quindi i soggetti sociali possono usare, cioè “spendere”, più potere non a scapito degli altri. In una società più sviluppata si possono fare più cose, avere più opportunità giacché la ricchezza istituzionale e le opportunità disponibili variano in rapporto allo sviluppo.
A ben riflettere a una cinquantina di anni di distanza si può dire che entrambi gli autori avevano ragione e torto. Indubbiamente le società occidentali sono diventate tutte più ricche di opportunità, l’economia è andata estendendosi e diversificandosi e anche le opportunità di vita generali sono cambiate. Le relazioni fra la gente si sono intensificate. E in tutte le relazioni comprese quelle più amicali, si esercitano rapporti di potere. Perciò avrebbe ragione Parsons, anche perché queste possibilità non hanno riguardato solo le classi sociali più elevate.
Ma anche nella tesi di Wright Mills resta qualcosa di valido e lo si può vedere con riferimento ai grandi aggregati anche nella società contemporanea. E qui bisogna introdurre una ulteriore specificazione riguardante le diverse dimensioni del potere. Per facilità di analisi limitiamoci solo a potere economico e potere politico. Negli ultimi decenni in Italia si può osservare come ci sia stato un ridimensionamento del ruolo dell’effettivo potere delle organizzazioni dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali. Negli anni ’60 e ’70 esso era -o per lo meno appariva- molto più forte nella società. E d’altronde non a caso poi nel corso degli anni ’80 e ’90 la distribuzione del reddito è andata spostandosi a svantaggio dei lavoratori dipendenti e naturalmente a vantaggio dei ceti imprenditoriali e redditieri. Insomma potere economico e potere politico non sono indipendenti fra di loro anche se è una ovvia ingenuità far discendere il potere politico da quello economico. Fatta questa premessa, vediamo come sono andate le cose nella realtà italiana con un breve discorso a volo d’uccello sull’individuazione delle classi e dei gruppi sociali che hanno detenuto il potere economico e politico dal momento dell’unità d’Italia in poi. Un’analisi classica legata al nome di Antonio Gramsci, ma accettata anche da storici liberali, vede a compimento del Risorgimento l’esistenza di un blocco dominante economico e sociale con due diverse localizzazioni territoriali ma capaci di esprimere le stesse rappresentanze politiche: la borghesia capitalistica imprenditrice agricola e [soprattutto] industriale al nord e la borghesia terriero fondiaria tendenzialmente assenteista al sud.
Nel frattempo maturava anche un vasto ceto impiegatizio a diversi livelli, compresi quelli altri, che però non avevano una grande autonomia politica. Per dire da chi era costituito questo ceto sociale si può fare riferimento alle splendide “case popolari” del quartiere Prati o del Nomentano-Salario: le villette costruite da Muratori o Calza Bini e abitate dagli strati alti del funzionariato pubblico perciò “case popolari”.
All’apparenza le cose non cambiano tantissimo fino al secondo conflitto mondiale ma in realtà non è così. Proprio gli anni del fascismo sono gli anni di trasformazione del potere politico, e non solo per effetto della dittatura. Al contrario, ciò che succede è che in quel ventennio matura un ceto politico-amministrativo che, legato al regime politico, si affranca in qualche modo dal potere economico. Emerge cioè quella che sarà chiamata successivamente “borghesia di Stato” che gestisce risorse pubbliche in misura crescente mano mano che l’intervento dello stato nell’economia cresce. Ecco dunque un’altra forma di intreccio più complessa tra potere politico e potere economico: anzi una forma di affrancamento del potere politico i cui detentori diventano soggetti molto più autonomi. E si tratta naturalmente di un fenomeno stabile e significativo, tant’è che esso prosegue e si consolida anche dopo la caduta del fascismo negli anni della Repubblica.
La cosa riguarda tutto il Paese ma riguarda soprattutto il Mezzogiorno. Quella che era la classe dominate fino al secondo conflitto mondiale-la borghesia terriero fondiariae che in sostanza dominava anche politicamente perde di rilevanza a partir dagli anni ‘40. Il potere nel Mezzogiorno passa a un’altra classe: la borghesia di Stato, quel vasto ceto di politici di professione, amministratori pubblici, funzionari dello Stato e degli enti locali che gestiscono anche il flusso di risorse economiche che dal centro arrivano alla periferia, compresi il flusso di trasferimenti monetari che proviene dall’Unione Europea.
Ma questa non è neanche solo una storia meridionale. E l’intreccio tra potere economico e potere politico si esprime anche ad altri livelli. Spesso si tende a contrapporre la figura dell’imprenditore magari self-mademan al funzionario pubblico divenuto potente o a chi ha responsabilità nelle imprese pubbliche o a partecipazione pubblica. In realtà l’evolversi della struttura di potere economico ha mostrato come il ruolo dello Stato sia molto più pervasivo di quanto non sembri solitamente. E in effetti alcuni settori dell’imprenditoria e conseguentemente del potere economico hanno potuto svilupparsi solo in virtù dei favori accordati dallo Stato e più in generale dal potere politico. I settori che per eccellenza si sviluppano in situazione di protezione politica sono quello immobiliare e quello dei media. È infatti lo Stato che garantisce a quest’ultimo le “frequenze” vale a dire la effettiva possibilità di esercitare il potere mediatico. Insomma gli intrecci tra potere economico e potere politico sono continui anche se mutano continuamente carattere. Nella società che si evolve e diventa più complessa anche le forme di potere cambiano ma quando si realizzano processi di concentrazione come quelli che vediamo attualmente viene forse da dare più ragione a Wright Mills che a Parsons.