Il
Potere I mezzi di comunicazione di massa
Oggi chi intende studiare il potere e i meccanismi che lo caratterizzano non può certo prescindere da
interrogativi circa l’industria culturale e i suoi fruitori, circa la società di massa e il consumo di massa
di Maria Immacolata Macioti
Si è laureata in Filosofia presso l’Università degli sudi di Roma La Sapienza dove insegna Cross Cultural Communication,
Processi Culturali e Sociologia delle Religioni. Ha fondato e dirige i master universitari Immigrati e Rifugiati e Teoria e Analisi
Qualitativa. È autrice di varie pubblicazioni riguardanti i temi delle migrazioni e delle religioni. Si è interessata di metodologie
qualitative. Tra le sue ultime pubblicazioni Sociologia generale [Guerini], con Enrico Pugliese, L’esperienza migratoria
[Laterza], ha curato Introduzione alla sociologia della Mcgrowhill. Coordina e scrive sul trimestrale La Critica Sociologica.
E'
antico quanto l'uomo, il tema del potere, potere inteso come capacità
di piegare gli altri al proprio volere, di imporre quindi la propria
volontà su persone che di per sé non avrebbero desiderato adottare
quel determinato comportamento, ma che subiscono una certa coercizione
alla propria volontà: c’è sempre stato infatti, storicamente, chi
decideva e chi subiva. O, in altri termini, ci sono sempre stati
ceti o strati o classi dominanti, ceti o strati o classi dominate,
con variazioni a seconda dei tempi e dei luoghi. Tradizionalmente,
il potere -sempre ritenuto, a ragione, un tema centrale nell’ambito
degli studi sociali- è stato soprattutto analizzato e interpretato
come prerogativa dei vertici. Ci si è quindi interrogati soprattutto
su chi detenesse il potere e in base a quali prerogative. E, in
conseguenza, su chi lo subisse e sui perché di queste “scelte”.
Il potere è stato di regola associato a concetti come quelli di
forza, coercizione, o ancora energia, violenza. Viene invece distinto
dal concetto di autorità.
Tra i sociologi considerati oggi come i classici della disciplina,
Max Weber è forse colui che maggiormente si è soffermato sull’analisi
del potere [potere legittimo], ipotizzando l’esistenza di tre principali
tipi di potere ed elaborando quindi una tipologia a tre voci, laddove
spesso la sociologia aveva proceduto con ragionamenti dicotomici.
Il primo tipo di potere su cui lo studioso si è soffermato è il
potere tradizionale, patriarcale, detto anche potere dell’eterno
ieri, garante della continuità, in grado di assicurare una successione
più o meno indolore. Un potere che si basava però su diversità di
condizioni sociali, che perpetuava disuguaglianze: basti pensare
alla Francia prima della Rivoluzione, quando il Terzo Stato lavorava
e faticava per la nobiltà e il clero.
Un secondo tipo di potere era, nello schema weberiano, quello burocratico-formale,
caratterizzato dalla supremazia delle norme, del regolamento. Capace,
comunque, di proporre modi di vita più paritari [tutti sono uguali,
in teoria, di fronte alla legge] e di ovviare quindi alle divisioni
e alla iniqua stratificazione sociale legata alla nascita. Però
Weber teme il mondo totalmente amministrato, la “gabbia d’acciaio”
della burocrazia. Un terzo tipo di potere individuato da Weber è
quello legato al carisma, al capo carismatico: laddove il carisma
è un dono straordinario, un’irruzione di grazie elargita dall’alto.
In conseguenza, il capo carismatico non è qualcuno che si raccomanda
per ottenere qualche voto: la sua figura, il suo potere di imporsi
sono tali che la gente lo segue spontaneamente. Egli riesce laddove
fallisce il sistema burocratico-formale: sa far fronte alle novità,
alle emergenze. Esistono, naturalmente, anche svantaggi e debolezze
insiti in MTMMEDICAL TEAM MAGAZINE APRILE/SETTEMBRE 2007 IL POTERE
I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA questo tipo di potere: Weber parla
di una tendenza alla routinizzazione del carisma, che è richiesto
quindi di dare prova di sé, di certificare nel tempo il fatto che
il carisma non si è appannato, che non è perduto [basti pensare
alla fortuna di Napoleone in battaglia: una sconfitta segna la sua
fine, la fine dell’Impero]. Ancora, un momento di debolezza del
potere carismatico è quello legato alla successione: sempre incerta.
Basti pensare alla morte di Giulio Cesare, ai conseguenti scontri
tra Ottaviano [legame di sangue] e Antonio, il più vicino a Cesare
tra gli amici e i condottieri, colui che ne aveva celebrato l’elogio
funebre, determinando la fuga e la sconfitta di Bruto e dei congiurati.
La tipologia weberiana cerca di mettere d’accordo due modi diversi,
due differenti ottiche con cui per decenni la sociologia aveva affrontato
questa tematica: la prospettiva cioè che vuole il potere come un
rapporto interpersonale [con evidenti rischi di caduta nello psicologismo,
laddove il potere concerne sì gli individui ma non è certo un problema
individuale] e quella che vede il potere come un fatto di tipo strutturale,
quindi oggettivamente rilevante, formalmente e giuridicamente codificabile
[K. Marx]. Da ricordare altresì la celebre scuola élitistica italiana,
con Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, con cui si passa da una concezione
del potere legata alla produzione diretta dei beni ad una concezione
che lo lega maggiormente a mansioni amministrative, ai servizi.
Solo in tempi più recenti si è fatta strada l’idea che per studiare
il potere non sia sufficiente studiarne i vertici, prendere in esame
coloro che ne detengono le leve: e si sono avuti studi relativi
al potere visto dal basso, a partire cioè da chi il potere lo subisce,
piuttosto che non dalla parte di coloro che lo esercitano.
Intorno al 1964 Franco Ferrarotti ad esempio ha condotto a Roma
una ricerca con questo orientamento, ripetuta poi a dieci anni di
distanza: io stessa ho preso parte alla replica. E ne era emersa
una forte personalizzazione del potere, apparentemente non sentito
affatto come prerogativa impersonale, come servizio rivolto o da
rivolgere alla cittadinanza.
Non si era all’epoca ancora verificato un fenomeno che avrebbe notevolmente
mutato le caratteristiche del potere, esigendo una certa re-impostazione
degli studi in merito: l’avvento del potere massmediologico. Oggi
infatti il potere non riposa necessariamente sulla forza, sulla
dura imposizione quanto sulla manipolazione attuata dai media. L’immagine
tende a sostituire la lettura [il libro non è quasi più considerato
un medium!], l’emozione a prevalere sui processi logici. Non solo
radio e televisione, ma anche la telefonia mobile e la rete internet
hanno contribuito a un profondo mutamento, specie a livello giovanile,
di quella che era la cultura di un tempo, di derivazione greco-romana.
Viviamo oggi in un’epoca di rivoluzione digitale: che apre certamente
possibilità infinite ai suoi fruitori.
Non sempre però questi sono in grado di orientarsi, di filtrare
le notizie che rischiano di travolgerli, di sommergerli. Occasione
quindi notevole, quella offerta oggi dai nuovi mezzi di comunicazione
di massa: ma un’occasione rischiosa, poiché in rete può passare
di tutto, compresa una certa manipolazione degli utenti, non sempre
in grado di avvertire la direzione verso cui ci si sta avviando,
non sempre in grado di difendersi attraverso adeguati filtri critici.
Oggi quindi chi intende studiare il potere e i meccanismi che lo
caratterizzano non può certo prescindere da interrogativi circa
l’industria culturale e i suoi fruitori, circa la società di massa
e il consumo di massa. D’altronde, ancora oggi ci si trova di fronte
più facilmente a prese di posizione “umorali” e drastiche, a favore
o contro i nuovi media [tanto da far classificare gli intellettuali
o come apocalittici o come integrati] che non a puntuali analisi,
concettualmente orientate, circa l’impatto che hanno sui fruitori.
Opportunamente, a mio parere, Ferrarotti così conclude una sua riflessione
su Il Potere [Newton Compton 2004]: «È questa la grande sfida del
XXI secolo: recuperare l’autonomia dell’individuo per trasformare
la “rivoluzione digitale” in un’occasione di autentica crescita
umana invece di subirla come un ennesimo attentato alla coerenza
e alla libertà individuali».
Vanno bene quindi la comunicazione, le nuove tecnologie comunicative:
e del resto sarebbe impossibile tornare indietro. La comunicazione
però non è, in sé, necessariamente un processo unilaterale: anzi,
postula scambi, reciprocità, non informazione elargita dall’alto
a persone che devono solo abbeverarsi a quanto proposto, interiorizzare
i messaggi ricevuti. La comunicazione, per essere tale, richiede
certamente mezzi di comunicazione sempre più proiettati nel futuro,
ma anche contenuti significativi. E capacità critica da parte di
chi nei processi, nei flussi di comunicazione è coinvolto. Altrimenti
si correrà il rischio di società che raggiungeranno sì una certa
omogeneità culturale, ma a livelli minimi. A tutto vantaggio di
chi i mezzi di comunicazione li detiene e non privilegia, necessariamente,
liberi spiriti critici ma, al contrario, ambisce avere come pubblico
individui incapaci di rifiutare certe informazioni, di applicare
filtri critici. Perché oggi anche l’informazione politica [o la
diseducazione politica] si avvale dei nuovi media, spesso facendo
opera di disinformazione, di deformazione. Anche attraverso quello
che si potrebbe chiamare un marketing pubblicitario, attraverso
la spettacolarizzazione della politica, la personalizzazione della
leadership.
Un rischio ormai sempre più evidente, una tendenza sempre più dominante.
Importante quindi che i giovani sappiano navigare in internet, usufruire
al meglio dei nuovi media: ma soprattutto che siano in grado di
applicare filtri critici e fare un uso creativo delle nuove tecnologie.
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