MTM n°17
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 6 - Numero 2 - apr/set 2007
Dibattito
 


Maria Immacolata Macioti
Maria Immacolata Macioti

Anno 6 - Numero 2
apr/set 2007

 

In rete può passare di tutto, compresa una certa manipolazione degli utenti, non sempre in grado di avvertire la direzione verso cui ci si sta avviando, non sempre in grado di difendersi attraverso adeguati filtri critici

Oggi il potere non riposa necessariamente sulla forza, sulla dura imposizione quanto sulla manipolazione attuata dai media. Non solo radio e televisione, ma anche la telefonia mobile e la rete internet hanno contribuito a un profondo mutamento, specie a livello giovanile, di quella che era la cultura di un tempo




Il Potere I mezzi di comunicazione di massa
Oggi chi intende studiare il potere e i meccanismi che lo caratterizzano non può certo prescindere da interrogativi circa l’industria culturale e i suoi fruitori, circa la società di massa e il consumo di massa

di Maria Immacolata Macioti

Si è laureata in Filosofia presso l’Università degli sudi di Roma La Sapienza dove insegna Cross Cultural Communication, Processi Culturali e Sociologia delle Religioni.
Ha fondato e dirige i master universitari Immigrati e Rifugiati e Teoria e Analisi Qualitativa. È autrice di varie pubblicazioni riguardanti i temi delle migrazioni e delle religioni. Si è interessata di metodologie qualitative. Tra le sue ultime pubblicazioni Sociologia generale [Guerini], con Enrico Pugliese, L’esperienza migratoria [Laterza], ha curato Introduzione alla sociologia della Mcgrowhill. Coordina e scrive sul trimestrale La Critica Sociologica.

E' antico quanto l'uomo, il tema del potere, potere inteso come capacità di piegare gli altri al proprio volere, di imporre quindi la propria volontà su persone che di per sé non avrebbero desiderato adottare quel determinato comportamento, ma che subiscono una certa coercizione alla propria volontà: c’è sempre stato infatti, storicamente, chi decideva e chi subiva. O, in altri termini, ci sono sempre stati ceti o strati o classi dominanti, ceti o strati o classi dominate, con variazioni a seconda dei tempi e dei luoghi. Tradizionalmente, il potere -sempre ritenuto, a ragione, un tema centrale nell’ambito degli studi sociali- è stato soprattutto analizzato e interpretato come prerogativa dei vertici. Ci si è quindi interrogati soprattutto su chi detenesse il potere e in base a quali prerogative. E, in conseguenza, su chi lo subisse e sui perché di queste “scelte”. Il potere è stato di regola associato a concetti come quelli di forza, coercizione, o ancora energia, violenza. Viene invece distinto dal concetto di autorità.
Tra i sociologi considerati oggi come i classici della disciplina, Max Weber è forse colui che maggiormente si è soffermato sull’analisi del potere [potere legittimo], ipotizzando l’esistenza di tre principali tipi di potere ed elaborando quindi una tipologia a tre voci, laddove spesso la sociologia aveva proceduto con ragionamenti dicotomici. Il primo tipo di potere su cui lo studioso si è soffermato è il potere tradizionale, patriarcale, detto anche potere dell’eterno ieri, garante della continuità, in grado di assicurare una successione più o meno indolore. Un potere che si basava però su diversità di condizioni sociali, che perpetuava disuguaglianze: basti pensare alla Francia prima della Rivoluzione, quando il Terzo Stato lavorava e faticava per la nobiltà e il clero.
Un secondo tipo di potere era, nello schema weberiano, quello burocratico-formale, caratterizzato dalla supremazia delle norme, del regolamento. Capace, comunque, di proporre modi di vita più paritari [tutti sono uguali, in teoria, di fronte alla legge] e di ovviare quindi alle divisioni e alla iniqua stratificazione sociale legata alla nascita. Però Weber teme il mondo totalmente amministrato, la “gabbia d’acciaio” della burocrazia. Un terzo tipo di potere individuato da Weber è quello legato al carisma, al capo carismatico: laddove il carisma è un dono straordinario, un’irruzione di grazie elargita dall’alto. In conseguenza, il capo carismatico non è qualcuno che si raccomanda per ottenere qualche voto: la sua figura, il suo potere di imporsi sono tali che la gente lo segue spontaneamente. Egli riesce laddove fallisce il sistema burocratico-formale: sa far fronte alle novità, alle emergenze. Esistono, naturalmente, anche svantaggi e debolezze insiti in MTMMEDICAL TEAM MAGAZINE APRILE/SETTEMBRE 2007 IL POTERE I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA questo tipo di potere: Weber parla di una tendenza alla routinizzazione del carisma, che è richiesto quindi di dare prova di sé, di certificare nel tempo il fatto che il carisma non si è appannato, che non è perduto [basti pensare alla fortuna di Napoleone in battaglia: una sconfitta segna la sua fine, la fine dell’Impero]. Ancora, un momento di debolezza del potere carismatico è quello legato alla successione: sempre incerta. Basti pensare alla morte di Giulio Cesare, ai conseguenti scontri tra Ottaviano [legame di sangue] e Antonio, il più vicino a Cesare tra gli amici e i condottieri, colui che ne aveva celebrato l’elogio funebre, determinando la fuga e la sconfitta di Bruto e dei congiurati.
La tipologia weberiana cerca di mettere d’accordo due modi diversi, due differenti ottiche con cui per decenni la sociologia aveva affrontato questa tematica: la prospettiva cioè che vuole il potere come un rapporto interpersonale [con evidenti rischi di caduta nello psicologismo, laddove il potere concerne sì gli individui ma non è certo un problema individuale] e quella che vede il potere come un fatto di tipo strutturale, quindi oggettivamente rilevante, formalmente e giuridicamente codificabile [K. Marx]. Da ricordare altresì la celebre scuola élitistica italiana, con Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, con cui si passa da una concezione del potere legata alla produzione diretta dei beni ad una concezione che lo lega maggiormente a mansioni amministrative, ai servizi.
Solo in tempi più recenti si è fatta strada l’idea che per studiare il potere non sia sufficiente studiarne i vertici, prendere in esame coloro che ne detengono le leve: e si sono avuti studi relativi al potere visto dal basso, a partire cioè da chi il potere lo subisce, piuttosto che non dalla parte di coloro che lo esercitano.
Intorno al 1964 Franco Ferrarotti ad esempio ha condotto a Roma una ricerca con questo orientamento, ripetuta poi a dieci anni di distanza: io stessa ho preso parte alla replica. E ne era emersa una forte personalizzazione del potere, apparentemente non sentito affatto come prerogativa impersonale, come servizio rivolto o da rivolgere alla cittadinanza.
Non si era all’epoca ancora verificato un fenomeno che avrebbe notevolmente mutato le caratteristiche del potere, esigendo una certa re-impostazione degli studi in merito: l’avvento del potere massmediologico. Oggi infatti il potere non riposa necessariamente sulla forza, sulla dura imposizione quanto sulla manipolazione attuata dai media. L’immagine tende a sostituire la lettura [il libro non è quasi più considerato un medium!], l’emozione a prevalere sui processi logici. Non solo radio e televisione, ma anche la telefonia mobile e la rete internet hanno contribuito a un profondo mutamento, specie a livello giovanile, di quella che era la cultura di un tempo, di derivazione greco-romana. Viviamo oggi in un’epoca di rivoluzione digitale: che apre certamente possibilità infinite ai suoi fruitori.
Non sempre però questi sono in grado di orientarsi, di filtrare le notizie che rischiano di travolgerli, di sommergerli. Occasione quindi notevole, quella offerta oggi dai nuovi mezzi di comunicazione di massa: ma un’occasione rischiosa, poiché in rete può passare di tutto, compresa una certa manipolazione degli utenti, non sempre in grado di avvertire la direzione verso cui ci si sta avviando, non sempre in grado di difendersi attraverso adeguati filtri critici. Oggi quindi chi intende studiare il potere e i meccanismi che lo caratterizzano non può certo prescindere da interrogativi circa l’industria culturale e i suoi fruitori, circa la società di massa e il consumo di massa. D’altronde, ancora oggi ci si trova di fronte più facilmente a prese di posizione “umorali” e drastiche, a favore o contro i nuovi media [tanto da far classificare gli intellettuali o come apocalittici o come integrati] che non a puntuali analisi, concettualmente orientate, circa l’impatto che hanno sui fruitori. Opportunamente, a mio parere, Ferrarotti così conclude una sua riflessione su Il Potere [Newton Compton 2004]: «È questa la grande sfida del XXI secolo: recuperare l’autonomia dell’individuo per trasformare la “rivoluzione digitale” in un’occasione di autentica crescita umana invece di subirla come un ennesimo attentato alla coerenza e alla libertà individuali».
Vanno bene quindi la comunicazione, le nuove tecnologie comunicative: e del resto sarebbe impossibile tornare indietro. La comunicazione però non è, in sé, necessariamente un processo unilaterale: anzi, postula scambi, reciprocità, non informazione elargita dall’alto a persone che devono solo abbeverarsi a quanto proposto, interiorizzare i messaggi ricevuti. La comunicazione, per essere tale, richiede certamente mezzi di comunicazione sempre più proiettati nel futuro, ma anche contenuti significativi. E capacità critica da parte di chi nei processi, nei flussi di comunicazione è coinvolto. Altrimenti si correrà il rischio di società che raggiungeranno sì una certa omogeneità culturale, ma a livelli minimi. A tutto vantaggio di chi i mezzi di comunicazione li detiene e non privilegia, necessariamente, liberi spiriti critici ma, al contrario, ambisce avere come pubblico individui incapaci di rifiutare certe informazioni, di applicare filtri critici. Perché oggi anche l’informazione politica [o la diseducazione politica] si avvale dei nuovi media, spesso facendo opera di disinformazione, di deformazione. Anche attraverso quello che si potrebbe chiamare un marketing pubblicitario, attraverso la spettacolarizzazione della politica, la personalizzazione della leadership.
Un rischio ormai sempre più evidente, una tendenza sempre più dominante.
Importante quindi che i giovani sappiano navigare in internet, usufruire al meglio dei nuovi media: ma soprattutto che siano in grado di applicare filtri critici e fare un uso creativo delle nuove tecnologie.