Relazioni familiari e affinità karmiche nelle adozioni
40 mila bambini dati in adozione ogni anno in tutto
il mondo, più di 100 i paesi coinvolti, 3042 i bambini
in adozione internazionale nel 2007, 270 gli studi condotti
in diversi paesi tra il 1950 e il 2005, riguardanti lo sviluppo
dei bambini e degli adolescenti adottati
della Dott.ssa Caterina Carloni
Complesso, e variamente articolato a seconda del contesto culturale e
storico in cui è inserito, il fenomeno dell’adozione, oggi in rapida crescita
in tutto il mondo, suggerisce e stimola riflessioni più approfondite
sul concetto di famiglia e sul bisogno di appartenenza, sul
tema delle affinità elettive con i modelli genitoriali e sul significato
di identità umana e spirituale.
Tutti i grandi maestri hanno insegnato, infatti, che essere padri o madri
non è una questione biologica.
Nel Vangelo di San Matteo [12, 46-50] Gesù Cristo, stendendo le mani
verso i suoi discepoli, dice: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli,
perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli, questi è
per me fratello, sorella e madre».
Nella tradizione indovedica esiste un termine, vatsalya, per indicare
il sentimento che lega padri e figli e viceversa. È questo tipo di sentimento
[rasa], con la sua intensità e il suo radicamento, che determina
la qualità della relazione parentale, e non la mera discendenza biologica.
Per questo, anche nei rapporti tra genitori e figli adottati entrano
in gioco dinamiche che la psicologia bhaktivedantica definisce
karmiche, cioè frutto di una complessa rete di reazioni di causa/effetto
maturate lungo il percorso esperenziale dell’anima incarnata.
Scrive il prof. Marco Ferrini, presidente e fondatore del Centro Studi
Bhaktivedanta [www.c-s-b.org]: «In una società come quella attuale
sempre meno imperniata su valori etico-morali e spirituali, spesso i
più a rischio sono purtroppo i bambini. Affinché possano essere salvaguardati
rapporti familiari delicati ed essenziali come quelli tra genitori
e figli, e che dire tra genitori e figli adottivi o affidati, risulta oggi
più che mai fondamentale fare appello ai princìpi più alti della responsabilità
individuale e sociale, affinché non si smarriscano la qualità,
il valore e il senso più profondo di tali fondamentali relazioni
umane, rendendole propedeutiche alla propria ed altrui crescita psicologica
e spirituale. Nelle opere psicologiche della cultura tradizionale
indiana viene spesso evidenziato come il genitore non sia tanto
“colui che procrea” ma soprattutto colui che educa, che protegge,
che insegna non solo a parole ma prima di tutto con il proprio comportamento
personale, che ama e che ispira a vivere il Viaggio della
vita nella sua più ampia e profonda prospettiva evolutiva, per l’autentico
Bene proprio ed altrui. Di per sé i legami di sangue, seppur forti,
sono meno formanti per la personalità di quelli che si costruiscono
con l’autentica cura e relazione reciproca. Se c’è questa cura, questa
sincera volontà di guardare l’altro come una persona da sviluppare
e valorizzare, se c’è l’impegno nell’aiutarlo e orientarlo nel proprio
percorso evolutivo, si può sperimentare gradualmente un affetto che
si radica in profondità e che nel tempo produce soddisfazione. Un affetto
che non ha pretese, che offre una guida di valore lasciando la persona
libera di esprimersi secondo le proprie migliori potenzialità».
PER SAPERNE DI PIÙ
M. FERRINI, Affinità karmiche e relazioni familiari, CSB, 2008
L’opera: un viaggio nel percorso esistenziale dell’uomo alla luce della
cultura vedica affronta il tema dei rapporti familiari, dei semi karmici,
delle memorie delle vite precedenti, dei vari e distinti stati di
coscienza e dei cinque condizionamenti [pancaklesha] che generano
sofferenza nella vita incarnata. Descrive le fonti scientifiche originarie,
le autorevoli sacre scritture dell’India antica, che hanno spiegato
ed esaminato il fenomeno della reincarnazione.
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