IL PREMIO NOBEL PER LE
SCIENZE ECONOMICHE
di Antonio Di Majo
IL PREMIO NOBEL PER LE SCIENZE ECONOMICHE [istituito e finanziato dalla
Banca di Svezia] è stato assegnato nel 2009 a due economisti non
classificabili tra quelli del mainstream nordamericano, come era avvenuto
fino a due anni fa, probabilmente anche a causa della cattiva
reputazione acquisita dalla corrente dominante in occasione della
crisi finanziaria. Dei due economisti premiati [Williamson e
Ostrom], una è donna. È la prima volta che avviene in questo campo
di studi e anche questa circostanza ha suscitato molta curiosità,
ma sono gli studi di Elinore Ostrom, che insegna all’Università dell’Indiana,
che meritano molta attenzione, sia per il metodo originale
di scienza sociale, sia per i contenuti delle sue ricerche.
Tra queste, l’attenzione principale è stata da tutti rivolta a quelle
concernenti l’economia dei cosiddetti commons, ossia i beni a proprietà
collettiva. Per comprendere l’importanza dell’apporto delle
analisi della Ostrom va precisato che la scienza economica ha sviluppato
negli ultimi due secoli l’analisi dei meccanismi di fornitura
[provision] dei beni privati [quelli forniti dal libero gioco del mercato,
che è efficiente, tra l’altro, se i partecipanti sono tra loro indipendenti
e si comportano in modo da massimizzare l’interesse personale]
e dei beni pubblici [quelli che il mercato non è in grado di
fornire efficientemente e che sono resi disponibili dallo Stato e finanziati
attraverso l’utilizzo della coazione, che fa subire le imposte
ai singoli cittadini]. L’efficiente funzionamento del sistema economico
deve quindi ricercare equilibri tra le capacità autoregolatrici
del mercato e, nei casi in cui questo fallisce, l’imposizione delle
scelte collettive [anche se definite con i criteri della democrazia
rappresentativa]. Esempi estremi dei due tipi di beni sono le scarpe
e la Difesa; accanto ai tipi “puri” di beni privati e pubblici, dal
punto di vista economico, esistono molti casi intermedi [ad esempio,
la sanità]. La Ostrom ha svolto ricerche per oltre venti anni su
un altro tipo specifico di bene, quello rappresentato da risorse “appropriabili”
liberamente dagli appartenenti ad una comunità di
persone [caratteristica condivisa con i beni pubblici], ma soggette
a esaurimento. Questi beni, i commons, sono una presenza costante
della storia fin dal Medio Evo: si pensi ai pascoli comuni, a quelli che
il nostro diritto definiva usi civici, i bacini di pesca, le risorse idriche
in molti paesi, ecc. La ricerca estrema della convenienza individuale
porta spesso allo sfruttamento distruttivo di queste risorse e gli
sbocchi sono stati o la definizione di diritti individuali di proprietà
su di essi [con successivo utilizzo altrui attraverso scambi di mercato]
ovvero la pubblicizzazione con divieti e permessi di uso con
connessi prelievi di tributi. Indagando su molti casi di proprietà comune
sopravvissuti anche per un millennio, la Ostrom ha cercato
di individuare le ragioni e i meccanismi che consentono una accettabile
e sostenibile vita di queste proprietà collettive senza necessità
di ricorrere alla coazione dello Stato. Numerosi sono i casi di
“regole”, scelte volontariamente, che assicurano un utilizzo economicamente
proficuo e non distruttivo di queste risorse, tra questi
le “regole ampezzane” che disciplinano le proprietà comuni di
boschi e pascoli di una parte delle Dolomiti da circa 600 anni. L’interesse
generale per questa ricerca va ovviamente oltre queste situazioni
tramandate nei secoli. Gli attuali problemi ambientali e la
possibilità di esaurimento di risorse comuni, che il mercato non può
affrontare e risolvere e che, specie se si tratta di problemi di dimensione transfrontaliera, la sovranità degli Stati non può adottare
la via coattiva, stimolano la ricerca di “regole” che rendano possibili
accordi volontari in materia di beni collettivi, “regole” sperimentate
in diversi luoghi e tempi. La Ostrom mostra che la sopravvivenza
secolare di regole efficaci è affidata alla invenzione e all’evoluzione
di “istituzioni” ad hoc. In qualche modo, con linguaggio
attuale, si può dire che sono il frutto della sussidiarietà [qualcuno
ha osservato che la stessa Unione europea sembra essere l’istituzione
di un common in continua evoluzione]. Ai casi di successo di
governo dei beni collettivi, si accompagnano tanti insuccessi e una
lezione che si ricava dalle ricerche della Ostrom è che non esiste la
possibilità di trasporre le istituzioni efficienti in situazioni diverse
da quelle che le hanno create e fatte evolvere. Per un’economista
pubblico è consolante pensare che non si debba essere costretti a
pensare che gli incentivi volontari si esauriscono organizzando la
produzione nel mercato di individui egoisti con l’alternativa, nel caso
in cui l’individualismo non “funziona”, della coazione collettiva
e della regolamentazione pubblica dei “fallimenti” del mercato.
Un approfondimento dell’opera dell’autrice è possibile dalla lettura
di alcuni suoi libri Quello più accessibile anche al lettore non specializzato
è disponibile anche in italiano dal 2006 [E. Ostrom, Governare
i beni collettivi, Marsilio editore, 2006].
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