MTM n°25
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 9 - Numero 1 - gen/apr 2010
Dibattito - Immigrazione
 


Maria Immacolata Macioti
Maria Immacolata Macioti
Docente presso la Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma


Anno 9 - Numero 1
gen/apr 2010

 

Ci si è dimenticati, in Italia, del nostro passato di emigranti sfruttati, adibiti a lavori pesanti, biasimati pubblicamente per l’ignoranza della lingua del luogo, per i vestiti informi, sporchi dato che si era costretti a dormire in strada o in locali di fortuna




Immigrati in Italia: tra respingimenti e radicamenti
Gli immigrati sono utilizzati in Italia nell’industria e nel terziario. Concorrono al PIL, mandano i figli a scuola.
Ma sono considerati tendenti alla devianza. Da cui processi di negazione, di marginalizzazione, norme restrittive, respingimenti, sperequazioni con gli italiani

di Maria Immacolata Macioti

SONO ORMAI CIRCA TRENTA ANNI che sono giunti in Italia consistenti flussi migratori: da allora gli immigrati fanno parte della nostra storia, della vita quotidiana. Molti hanno vissuto fenomeni di radicamento, facendosi raggiungere dalla moglie, dai figli. Bambini sono nati su suolo italiano.
Le scienze sociali hanno seguito e accompagnato questi arrivi. Hanno studiato da presso le difficoltà dell’inserimento in un paese straniero, i meccanismi di inclusione/ esclusione. Gli stranieri, scriveva G. Simmel, sono sospesi tra due culture: quella che hanno lasciato dietro di sé, quella in cui vorrebbero entrare. La nostalgia è un tema che da sempre accompagna i migranti: nostalgia per il paese che si è lasciato, per gli amici, il paesaggio noto, le abitudini consolidate, la famiglia allargata. Per un mondo che sta già cambiando mentre si inizia un percorso migratorio. Che provocherà certamente delusioni in chi vi dovesse tornare, dopo anni, con l’illusione di ritrovare un universo amico, immobile, in attesa. E d’altro canto non sempre è semplice l’inserimento nella nuova realtà, che spesso si difende dalle novità, respinge il confronto, emargina i nuovi arrivati pur di non mettersi in discussione, di non dover rivedere i propri valori, la propria auto immagine.
È difficile vivere oggi, da immigrato, in Italia. La normativa, che tra il 1986 e il 1990 sembrava aver fatto progressi [nel 1986 si erano riconosciuti agli immigrati che erano in Italia con un lavoro dipendente uguali diritti rispetto agli italiani; poi, con la legge 39 del 1990, si era aperta la possibilità di un lavoro regolare anche per i lavoratori indipendenti] si è mostrata poi sempre meno propensione a comprendere le difficoltà di questa parte della popolazione. Presto gli immigrati hanno perso il diritto di venire in Italia dietro garanzia di uno sponsor per cercare lavoro [legge 189/02, nota come Bossi-Fini] e sono nate le quote. La perdita del lavoro diventa una tragedia passibile di espulsione. Altre misure restrittive sono più recenti: gli immigrati possono fare domanda per una casa popolare solo dopo dieci anni di residenza nel territorio nazionale o di cinque nello stesso comune [e la mobilità è alta, tra gli immigrati: si va laddove c’è lavoro], con un peggioramento rispetto alla normativa precedente¹. Una misura voluta per proteggere gli italiani? Ma le graduatorie tutelano il riconoscimento dei diritti.
La modifica dell’art. 41 del Testo Unico sull’immigrazione, che equiparava gli stranieri titolari della carta o del permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno ai cittadini italiani, al fine della fruizione di provvidenze e prestazioni di assistenza sociale implica una evidente diversità con gli italiani, con contraddizioni circa la Costituzione, che vorrebbe tutti i cittadini uguali di fronte alla legge.
Ancora, il decreto sulle Misure urgenti in materia di sicurezza² dà ampi poteri ai sindaci al fine di prevenire e contrastare fenomeni criminosi e degrado urbano [art.6]: da cui numerosi decreti sull’accattonaggio, in cui si è illustrato il sindaco di Verona, sulla prostituzione [Verona, Roma], sui lavavetri: come se il disagio, l’insicurezza serpeggiante, crescente tra gli italiani fosse dovuta a qualche mendicante, a qualche lavavetri o a donne sfruttate. O ancora, a parcheggiatori abusivi.
La psicosi relativa alla sicurezza, che ha accompagnato gli ultimi tempi del governo Prodi ed è stata ben presente fin dai primi tempi del governo Berlusconi, ha avuto come corrispettivo misure punitive non sempre applicabili, che lasciano irrisolte le cause dei problemi, preferendo punire chi ne soffre: come si è fatto e si va facendo con i rom, i cui campi abusivi vengono abbattuti e gli abitanti esportati fuori dai centri abitati. A Roma, fuori dal raccordo anulare. A volte vengono deportati anche da campi «ufficiali» in altri più lontani, sempre più affollati, con danni di ogni tipo, a partire dall’interruzione di molte buone pratiche: basti pensare ai bambini che frequentavano scuole che sono costretti a lasciare. Non si pensa invece a politiche abitative, preludio a un reale inserimento dei rom.
È venuta poi la proposta presentata dalla Lega, fatta propria dal Ministro Maurizio Sacconi, di negare le cure agli immigrati irregolarmente presenti nel paese e fare obbligo ai medici di denunciarli: e la Società italiana di Medicina delle Migrazioni si è detta contraria a misure del genere. Ha dichiarato che non avrebbe denunciato gli immigrati clandestini ammalati. Presa di posizione che, insieme a quelle dell’Asgi, associazione di giuristi, e di altre forze sociali porterà alla caduta di questa norma dalle «disposizioni in materia di sicurezza pubblica» che istituiscono il reato di clandestinità per gli immigrati «che entrano e soggiornano illegalmente in Italia» [legge 15 luglio 2009]. Ma intanto il danno è fatto: gli immigrati irregolari temono l’espulsione, i controlli. Evitano i luoghi pubblici e, se possibile, anche gli ambulatori medici, gli ospedali.
La regolarizzazione di colf e «badanti», del settembre 2009, non dà i risultati sperati: l’emersione è più contenuta del previsto, dovuta in parte al timore, in parte alle difficoltà burocratiche e in buona parte alle resistenze di molti datori di lavoro a regolarizzare gli immigrati. Le donne più fortunate, quelle che hanno potuto avviare le pratiche di regolarizzazione, non di rado hanno pagato loro la cifra che sarebbe spettata ai datori di lavoro e hanno accettato contratti con una retribuzione ufficiale più bassa: avranno, in futuro, pensioni inesistenti.
Ci si è dimenticati, in Italia, del nostro passato di emigranti sfruttati, adibiti a lavori pesanti, biasimati pubblicamente per l’ignoranza della lingua del luogo, per i vestiti informi, sporchi dato che si era costretti a dormire in strada o in locali di fortuna. Accusati di ogni sorta di crimini³. Vittime di tragedie preannunciate, come nel caso del crollo della miniera a Marcinelle.
Eppure, nonostante questo clima, gli immigrati in buona parte resistono. Continuano a vivere, a lavorare in Italia. Producono reddito [si calcola in 24 miliardi il loro potenziale di spesa in Italia]. Mandano i figli nelle scuole italiane, in classi dove troppo spesso i bambini vengono penalizzati: come accadeva un tempo ai figli dei migranti italiani, come tuttora accade agli italiani in Germania. Molte scuole italiane sono impegnate, non da oggi, nell’accoglienza ai figli degli immigrati, applicano buone pratiche, sperimentano intercultura. Ma si tratta in genere di singole iniziative, di isole felici. Un recente studio¹ sottolinea come i figli degli immigrati oggi presenti nelle scuole italiane saranno parte del nostro futuro [se non verranno espulsi al raggiungimento del diciottesimo anno di età]: eppure, la scuola italiana continua a perpetuare le differenze sociali. Né è pensabile che, con pochi fondi, con pochi insegnanti, possa fare miracoli. Molti sperano nelle Regioni, negli enti locali, nella loro possibilità di favorire l’intercultura, nella speranza di un mutamento di rotta. Urgente, se si pensa che già ora le pensioni degli italiani anziani sono in buona parte finanziate dagli immigrati.
Che questi lavorano nell’industria e nei servizi, sono indispensabili alla nostra economia, al benessere di molti e rappresentano un’occasione per gli italiani anche con riguardo ai consumi: aprono conti correnti nelle nostre banche, utilizzano cellulari, internet, carte prepagate. Comprano case, compatibilmente con la crisi economica e con le scarse risorse: le banche non sembrano disponibili a offrire mutui che coprano la maggior parte dei costi. Eppure le ricerche indicano che gli immigrati sono solvibili, affidabili: vogliono un futuro migliore per sé, per i propri figli. Perché non aiutarli per questa strada?


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1] Si veda la «Gazzetta Ufficiale» n. 195 del 21 agosto 2008, la legge n. 133/2008, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», che converte, con modificazioni, il decreto-legge 112/2008. V. in particolare l’art. 11, Piano casa
2] Entrato in vigore il 27 maggio 2008, convertito in legge il 24 luglio 2008
3] Basti pensare ai casi di Sacco e Vanzetti
4] G. Dalla Zuanna, P. Farina, S. Strozza, Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro paese?, il Mulino, Bologna 2009