MTM n°25
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 9 - Numero 1 - gen/apr 2010
L’angolo - Il legale risponde
 


Prof. Giovanni Pellettieri
Prof. Giovanni Pellettieri
Prof. Ass. Diritto del lavoro. Università di Camerino


Anno 9 - Numero 1
gen/apr 2010

 

Accanto alla fisiologia dell’immigrazione, regolata da provvedimenti amministrativi, quali i “decreti flusso”, vi è la patologia dell’immigrazione irregolare e clandestina




IMMIGRAZIONE ED INTEGRAZIONE: BREVI CONSIDERZIONI

del Prof. Giovanni Pellettieri

A FRONTE DI UN FENOMENO COSÌ COMPLESSO e delicato come l’immigrazione, che certamente necessita di una unitaria presa di coscienza e di una organizzazione a livello centrale delle politiche integrative, è probabile che le tematiche e le categorie legislative possano costituire solamente il giusto limite delle responsabilità personali di coloro che, a qualunque titolo, vi si trovino coinvolti.
Negli ultimi anni numerosi ed anche recenti avvenimenti di cronaca hanno posto all’attenzione il dibattito tra politiche per la regolamentazione del fenomeno migratorio e politiche sull’integrazione, sull’opportunità di considerare sufficiente la legge come sicuro recinto per il territorio, o sull’evenienza invece di prendere moderna coscienza del fatto che l’immigrazione, che tra le altre cose fruisce della sempre più ampia disponibilità di mezzi di mobilità, si leghi a doppio nodo alle dinamiche economiche che ormai da tempo ci fanno parlare di un mondo unico, “globale”.
E che per di più, verrebbe da aggiungere, se spinta dalla ricerca del benessere e regolamentata in modo non uniforme alla cittadinanza, se ne lega a quelle estremità che vedono il polarizzarsi della ricchezza a un capo e il massiccio degrado al suo opposto, favorendo fenomeni sociali difficilmente controllabili [lavoro nero, mancanza di cure, ingiustizia sociale], quando non malavitosi.
In questo contesto, sembra utile conoscere, seppure per grandi linee, la normativa che regola lo status di immigrato nel nostro Paese e le sue prerogative. Se dal punto di vista dei cittadini provenienti dall’Unione Europea l’ingresso nel nostro Paese deve considerarsi naturalmente circoscritto all’interno di uno “spazio comune” del quale la libera circolazione [di merci, persone e servizi], regolata dagli accordi di Schengen, è garantito fondamento, la posizione di uno “straniero” differisce notevolmente.
Fatta eccezione per alcune provenienze, per le quali accordi specifici evitano l’obbligo di formalità per fini turistici, in generale per i periodi di soggiorno brevi [meno di 90 giorni], l’ingresso nel nostro Paese potrà essere autorizzato con “visto”[rilasciato da ambasciate e consolati italiani presenti sul territorio da apporre su passaporto o altro documento di viaggio]; per soggiorni più lunghi sarà necessario, invece, il “permesso di soggiorno” e la dichiarazione alle autorità entro otto giorni dall’ingresso:documentazione la cui mancanza potrebbe causare l’espulsione dal territorio, a meno che non sia giustificata da cause di forza maggiore.
In linea generale, le motivazioni dei richiedenti riguardano: visite, affari, turismo, studio, ricongiungimento familiare. Nel caso di costituzione di un rapporto di lavoro, occorrerà munirsi di una apposito “visto”, rilasciato a seguito di nulla osta conferito dallo “Sportello unico” competente, che può riguardare sia rapporti di lavoro subordinato, che autonomo e stagionale. Infine, nel caso di minori, accompagnati o meno, questi godono sempre, anche se entrati clandestinamente in Italia, dei diritti riconosciuti dalla “Convenzione di New York sui diritti del fanciullo” del 1989, che richiama il “superiore interesse del fanciullo” come cardine dell’azione politica, e che in Italia vede impegnate alcune istituzioni a livello ministeriale.
Accanto alla fisiologia dell’immigrazione, regolata, tra gli altri, da provvedimenti amministrativi, quali i cc.dd. “decreti flusso”, vi è la patologia dell’immigrazione irregolare e clandestina. Di stranieri, cioè, già in possesso dei requisiti necessari per il soggiorno sul nostro Paese, che vengono meno;di stranieri privi sin dall’origine di autorizzazione.
In entrambi i casi i provvedimenti adottati dalle autorità sono il respingimento alla frontiera o l’espulsione, a spese del Ministero degli Interni, salvo i casi in cui, per motivi specifici [tra gli altri: necessità di identificazione del soggetto, preparazione dei documenti di viaggio, prestazione di soccorso] non sia possibile provvedere immediatamente. Questa regola non vale per coloro che invochino il “diritto di asilo”, per ragioni politiche o umanitarie che, tuttavia non garantisce la automatica permanenza nel nostro Paese, essendo questa rimessa ad apposite commissioni.
La legge 30 luglio 2002, n.18 [più nota come legge Bossi-Fini] ha sostituito ed integrato la legge 6 marzo 1998, n.40 [più nota come legge Turco- Napolitano] introducendo alcune rilevanti novità, che, in estrema sintesi, riguardano le modifiche e regolamentazioni sui metodi di espulsione e respingimento, [oggetto di polemiche quando effettuate in acque internazionali]; l’allungamento dei tempi di possibile detenzione nei CPT [centri di permanenza temporanea, già istituiti come centri di detenzione amministrativa]; l’ingresso a fini lavorativi; il ricongiungimento familiare.
Uno dei criteri più rappresentativi di questo testo è il costante riferimento al rapporto tra capacità reddituale dello straniero e conseguimento delle formalità legali per accedere ad alcuni istituti relativi alla permanenza ed attività nel nostro Paese [come,ad esempio, la “carta di soggiorno”, le condizioni per il ricongiungimento familiare, il lavoro autonomo]. Criterio selettivo probabilmente volto a rendere prioritarie le considerazioni di benessere nazionale e, forse, un po’ miope sul fronte integrativo del fenomeno, su cui continuano a pesare, tra l’altro, le difficoltà di un apparato burocratico tutt’altro che efficiente.
Quanto, infine, alla assistenza sanitaria, la recente istituzione del reato di immigrazione clandestina [nel c.d.”pacchetto sicurezza”] ha sollevato grandi preoccupazioni sull’obbligo di denuncia da parte del sanitario, a cui è tenuto quale”pubblico ufficiale”; pervenendosi alla conclusione della prevalenza, invece, del divieto di segnalazione di cui all’art.35, comma 5, D.Lvo 286/98.