Se una persona disabile
si innamorasse di te?
...i confini troppo ristretti che tracciamo intorno all’amore
di Monica Caroti
Nella vita può accadere che, per differenti
ragioni, si inibiscano emozioni e sentimenti
nel tentativo di difendersi da
eventi quotidiani vissuti spesso come una minaccia,
o perché si ritiene quella certa emozione, o quel sentimento,
sconvolgenti per il proprio equilibrio psicofisico.
Il discorso e la realtà stessa della sessualità
sono un tema di cui si è a lungo discusso quasi sottovoce,
una problematica rimossa anche dagli addetti
ai lavori, in ciò autorizzati da una tradizione che ha
sempre negato il diritto del disabile ad avere un rapporto
affettivo, spesso dimenticando come la pulsione
sessuale sia una delle spinte primarie di ogni essere
umano.
Queste valutazioni suscitano tuttora nelle persone
reazioni destabilizzanti proprio per quella portata di
irrisolto che coinvolge ogni cosa riguardante la sfera
dei sentimenti. Queste situazioni sono più difficili da
gestire da parte di una persona con handicap psichico
o fisico. La presenza di una persona, rispetto al suo
handicap, porta, nella relazione con gli altri, una molteplicità
di timori, imbarazzi e barriere imputabili a
una serie di fattori socio-culturali che incidono negativamente
sulla costruzione di rapporti personali, tra
persone disabili e non, basata su momenti quotidiani
vissuti e rappresentati dall’incontro, dall’innamoramento
e dall’amore. Infatti, la dipendenza dai familiari
ed il loro investimento fatto di affettività e dedizione
totale, e la carenza protratta di stimoli esterni, procurano
nella persona disabile un evidente
isolamento sociale, ed una
scarsa autostima, con vissuti negativi
riguardo il proprio corpo. Se
tali condizionamenti perdurano nel tempo certamente
non aiutano le persone con disabilità a sviluppare incontri,
sensibilità e relazioni affettive differenti. Così
come occorre focalizzare la presenza di numerosi
pregiudizi che inducono ancora molte persone a pensare
e considerare il portatore di handicap come un
“bambino senza sesso”, dentro un corpo che non
matura e non diventa adulto in quanto “legato”, nelle
varie fasi della vita, alle esigenze primarie.
Si assiste nelle altre persone alla nascita di atteggiamenti
ostili e di paura nei confronti del manifestarsi di una
sessualità che, uscendo dalla norma, viene vissuta
d’istinto e “diversa”, pertanto ingestibile e quindi da
“interdire”. In questo caso è il desiderio dell’altro che
consente di uscire dalla propria clausura. Tutto ciò va
a rafforzare le “difficoltà” ad accettare la propria condizione
fisica e il suo coinvolgimento in un eventuale
incontro amoroso. O, ancora, la paura sempre presente
dei condizionamenti indotti dalla famiglia iperprotettiva
che sperimenta vissuti di sofferenza, di infelicità e di
minorazione. Si ha l’impressione che i familiari abbiano
dei blocchi a vivere momenti felici e a concedersi
piacere a vicenda. Queste sono alcune delle barriere
emotive e mentali che tutti quanti, abili e non, in
qualche misura sperimentiamo nel corso della vita,
ma che, dalle persone portatrici di un handicap grave,
vengono sentite e vissute attraverso azioni ripetute di
isolamento e di rifiuto. Si tratta di ansie ed insicurezze
che ampliandosi a vicenda possono radicarsi, e portare,
con la messa in atto di meccanismi aggressivi e di
difesa, ad una più profonda e generale “paura dell’intimità
e della relazione”.
Analoghe esperienze possono essere vissute da coloro
che diventano partner di persone con handicap. Basti
pensare alle difficoltà di una difficile “presa in carico”,
a quella di un legame affettivo di coppia che, con il
trascorrere del tempo, può diventare ingestibile. In
tali situazioni l’interruzione del rapporto o un’eventuale
fuga possono creare senso di colpa e paura di “fare
soffrire”. I pregiudizi nei confronti delle possibilità di
queste persone di mettersi in gioco, così come la
visione spesso distorta e stereotipata della componente
relazionale, spinge alcuni a credere che per molti
questa esperienza sia poco adatta
e quindi scarsamente importante.
Siamo diversi perché disabili, ma
“siamo persone, uomini e donne”.
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