MTM n°27
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 10 - Numero 1 - dic 2010/feb 2011
L’angolo - Economia
 


Antonio Di Majo
Antonio Di Majo


Anno 10 - Numero 1
dic 2010/feb 2011

 

I propositi di riforma tributaria manifestati dal Ministro dell’economia sembrano rispondere più ad un’esigenza di propaganda che a un desiderio di affrontare nodi strutturali di lunga durata


Uno degli “slogan” fiscali più diffusi negli ultimi tempi è quello di uno spostamento del prelievo dai fattori produttivi (lavoro e capitale) ai consumi, in modo da ovviare ai problemi di crescita e di equità di cui soffre il nostro paese e quello di un trattamento tributario privilegiato per la famiglia


Il ricorso all’imposizione patrimoniale può aiutare se ci si limita alla ricchezza immobiliare, perché graverebbe anch’essa, se non si limitassero fortemente l’evasione e l’elusione, sullo stesso ceto medio non evasore (gli impiegati e i dirigenti)




C’È UNA RIFORMA TRIBUTARIA NEL NOSTRO FUTURO PROSSIMO?

di Antonio Di Majo

Il governo ha annunciato l’avvio della riforma tributariaNelle scorse settimane il governo ha annunciato l’avvio di un “cantiere” per le riforma tributaria: non se ne conoscono ancora nemmeno i principi di fondo, ma si può provare ad avanzare qualche considerazione sulla sua praticabilità complessiva e sulla perseguibilità di alcuni obiettivi di massima largamente auspicati in tempi recenti e non solo dagli ambienti vicini al governo.
Un giudizio sulla portata di una riforma che, anche se in maniera non esplicita, sembra promettere riduzioni diffuse del carico tributario non può prescindere dalle dimensioni dei bilanci pubblici. Nell’ultimo secolo le spese pubbliche sono passate, nella generalità dei paesi più sviluppati, dal 5-10 al 45- 50 % del PIL e i tentativi di ridurne il “peso” in misura sostanziale non sembrano poter riuscire, almeno in un futuro prossimo, anche a prescindere dalle conseguenze della crisi che stiamo vivendo. Anzi la dichiarata esigenza, in alcuni paesi (tra cui il nostro), di attenuare le possibili conseguenze di un elevato debito pubblico può incentivare ulteriori aumenti della pressione tributaria. Di conseguenza in un paese che presenta diversi dualismi, tra cui quello tra “evasori e tartassati” (diventato rilevante dopo che la riforma degli anni settanta ha segnato il passaggio a un sistema tributario “di massa”) un cambiamento significativo può derivare da una gigantesca ridistribuzione del carico tra tali gruppi sociali, e solo in parte è possibile (ma con grande difficoltà) prevedere attenuazioni della pressione fiscale finanziati da guadagni di efficienza nella spesa. In ogni caso si tratta di processi (se mai saranno avviati con convinzione collettiva) di lunga durata; nel più breve periodo sono possibili, a mio parere, solo aggiustamenti di limitata entità. Questo vale per alcuni degli “slogan” fiscali più diffusi negli ultimi tempi, quello di uno spostamento del prelievo dai fattori produttivi (lavoro e capitale) ai consumi, in modo da ovviare ai problemi di crescita e di equità di cui soffre il nostro paese e quello di un trattamento tributario privilegiato per la famiglia.
Effettivamente negli ultimi due decenni, di pari passo con l’eccezionale sviluppo delle relazioni economiche internazionali e con il connesso ampliamento di arbitraggi transfrontalieri nella ricerca delle convenienze, il carico tributario si è spostato significativamente sui cespiti, poco “mobili”, che non si possono sottrarre alla sovranità fiscale degli stati nazionali, cioè i fabbricati, il lavoro e le imprese fortemente localizzate (in genere di dimensione minore). L’ideale novecentesco dell’imposta generale progressiva su tutti i redditi si è allontanato sempre di più, dando spazio a prelievi “cedolari” e sulle transazioni (non solo quelle concernenti i consumi), mantenendo la progressività (particolarmente forte nel nostro paese) sui redditi individuali che non possono sfuggire al prelievo. Per l’Italia questo quadro è aggravato dalle iniquità consentite da un’entità dell’evasione unica tra i paesi sviluppati. Il passaggio alle imposte speciali sui consumi è limitato dalle norme europee, così come la manovra sull’IVA, peraltro largamente evasa e quindi, allo stato, inadatta a consentire lo stesso gettito di imposte più sicure. Normalmente le imposte sulle vendite si traslano più facilmente sui prezzi pagati dai consumatori, ma questo sarebbe un prezzo da pagare in termini di inflazione “una tantum”, mentre la progressività (specie nel nostro paese) è talmente limitata a pochi tipi di redditi che la sua difesa effettiva (e non solo dichiarata in difesa di una “bandiera”) ha ormai pochi difensori (meno di tutti i lavoratori del ceto medio, che la avvertono come una pesante discriminazione contro di loro). Quanto alla tutela della famiglia, si parla spesso dell’introduzione del “quoziente familiare”, che ha un rilievo, anche quantitativo, molto importante in Francia. Un “quoziente familiare” di tale portata sarà per molto tempo impossibile in Italia, per le ricordate ragioni di gettito. In misura limitata sarebbe però possibile e auspicabile, per sgravare i contribuenti onesti con redditi familiari fortemente squilibrati, principalmente le famiglie con un solo stipendio. Ma sarebbe poco realistico e opportuno finanziare questa riforma con l’aggravio delle imposte sui redditi dei contribuenti con reddito medio alto dichiarato (le cui aliquote marginali superano ormai largamente, tenuto conto dei contributi sociali e delle sovrimposte locali, il 50 % degli stipendi, un record mondiale), e il cui impatto sul gettito è tanto più modesto man mano che si innalza la soglia compensativa al di sopra di poche decine di migliaia di euro annui. Né il ricorso all’imposizione patrimoniale può aiutare se ci si limita alla ricchezza immobiliare, perché graverebbe anch’essa, se non si limitassero fortemente l’evasione e l’elusione, sullo stesso ceto medio non evasore (gli impiegati e i dirigenti).
vignettaQuanto alla tassazione delle imprese, potrebbero essere attenuate alcune distorsioni che possono sfavorire un’attività di investimento già fortemente scoraggiata dalle attese di scarsa crescita della domanda, ossia dei fatturati attesi. Investimenti innovativi, ad alto rischio, potrebbero essere incentivati da una adeguata politica industriale, possibile però solo in un concerto europeo.
La politica tributaria nazionale ha spazio limitato; può modificare il “disegno” del prelievo in favore di una struttura di finanziamento maggiormente orientata ai mezzi propri che, come dimostrano numerose ricerche, incentiva l’accumulazione più del debito. Qualche passo in questa direzione è stato compiuto in anni recenti e qualche altro passo andrebbe compiuto, non necessariamente costoso per le casse dello Stato. Altre modifiche non costose potrebbero rendere la forma organizzativa dell’attività di impresa tendenzialmente fiscalmente neutrale rispetto alle esigenze dell’accumulazione, eliminando qualche possibile ostacolo all’espansione delle imprese minori. Tuttavia l’esistenza nel nostro paese di oltre tre milioni di imprese (esercitate in forma individuale o di società di persone) di dimensioni minori rende inevitabile il ricorso a forme forfettarie di definizione degli imponibili, che rendono naturalmente meno efficace l’utilizzo di incentivi selettivi all’accumulazione per la correlata insensibilità del gettito. Il problema in questo caso è quello di una opportuna definizione delle forme forfettarie di tassazione, che possano incorporare qualche incentivo strutturale alla crescita.
Non molto rilevanti sembrano le implicazioni sul sistema tributario dell’attuazione del federalismo fiscale, almeno nell’attuale fase di un lungo processo.
Nel complesso i propositi di riforma tributaria manifestati dal Ministro dell’economia sembrano rispondere più ad un’esigenza di propaganda che a un desiderio di affrontare nodi strutturali di lunga durata.